Politica

Mai più carcere ai cronisti E ora basta leggi speciali

Proprio nel giorno in cui alla Camera viene approvata l'abolizione del carcere per i reati di diffamazione commessi da chiunque, giornalisti compresi, succede qualcosa di preoccupante (...)

(...) in Parlamento. Ma andiamo per gradi. Dopo anni di discussioni sfociate nel nulla, finalmente l'Italia inizia ad adeguarsi ai Paesi civili d'Europa e del mondo: chi scrive cose sbagliate deve pubblicare le relative rettifiche e risarcire l'offeso, se c'è, ma non viene condannato alla galera, ciò che non giova a nessuno, tantomeno al diffamato, il quale ha maggiore interesse a essere indennizzato.
L'iniziativa di modificare la legge è stata dell'ex ministro all'Istruzione, Mariastella Gelmini. Che merita un ringraziamento a nome della categoria dei pennini. D'altronde è noto che la signora non si gingilla in chiacchiere, contrariamente a quanto fanno molti suoi colleghi, ma agisce: la riforma della scuola è firmata da lei, e solo Dio sa quante difficoltà interne ed esterne alla politica ha superato. Scusate, cari lettori, mi fa quasi impressione parlare bene di un personaggio del Palazzo. Ma quando ci vuole, ci vuole. Adesso la legge, che ci fa uscire da un interminabile periodo buio, sarà inviata al Senato. Speriamo che non sia osteggiata da qualche fessacchiotto (non manca mai) ed entri presto in vigore.
Doveroso e sentito anche un ringraziamento a Edmondo Bruti Liberati, capo della Procura di Milano, il quale di recente ha diffuso un comunicato in cui raccomanda ai giudici di attenersi alle disposizioni europee in materia di diffamazione ovvero di evitare - nelle more - di infliggere pene detentive.
Ciò precisato, veniamo ai motivi di amarezza e di stupore. La commissione Giustizia di Palazzo Madama l'ha combinata bella, anzi bruttissima. Ha introdotto un nuovo stravagante reato di opinione, punibile addirittura con cinque anni di reclusione (senza calcolare le aggravanti): il negazionismo. Un esempio per non tirarla in lungo. Mercoledì scorso il famoso matematico Piergiorgio Odifreddi sul suo blog ha scritto una frase che riassumo così: «Le camere a gas dei nazisti? Le conosciamo solo dalla propaganda alleata». A parte il fatto che egli è stato ricoperto di insulti, secondo lo stile in voga sul Web dove chi non ha argomenti suole ricorrere al turpiloquio, facciamo presente: qualora la legge che vieta il negazionismo fosse in vigore, il matematico filerebbe dritto dietro le sbarre.
Non entro nel merito delle affermazioni di Odifreddi. Dal mio punto di vista esse saranno discutibili, come qualsiasi opinione, ma legittime. Esprimerle non reca danno ad alcuno. C'è o non c'è libertà di pensiero? Se c'è, non si capisce perché sia lecito dire tutto, secondo coscienza, tranne che avanzare qualche perplessità sulle dimensioni della tragedia in cui furono coinvolti gli ebrei.
In un Paese nel quale l'abitudine di prendersi a maleparole è invalsa in ogni ceto sociale, non ha senso impedire a un cittadino di dissentire dalla vulgata sulla Shoah. Chiunque è padrone di dichiarare ciò che gli garba, purché non offenda nessuno. Varare un provvedimento per stabilire ciò che è consentito dire e ciò che non lo è costituisce una forma di violenza tipica delle dittature, inclusa quella nazista. Avanti di questo passo si giungerà a inserire nel codice penale una norma che obbliga a credere in Dio. Chi sostiene il contrario, via, in prigione.
Ora poi è in ballo un'altra legge surreale: quella contro l'omofobia. Va da sé che gli omosessuali siano da rispettare. Ma anche gli eterosessuali hanno lo stesso diritto, o no? In pratica, con la regola di cui discettiamo si sconfinerà nel paradosso: se prendi in giro un gay, ti ammanettano; se invece sfotti (faccio un nome a caso) Silvio Berlusconi perché ha tante ragazze, allora ti conferiscono un premio e magari ti assumono alla Rai quale satirico alla moda. Da notare che la parità tra gente che ha gusti sessuali diversi sarà perfetta - non inficiata da discriminazioni - solo quando sarà possibile scherzare sia sugli etero sia sugli omo.
Per concludere, due parole sul femminicidio, una telenovela. In effetti i dati statistici dimostrano che in Italia le donne uccise o maltrattate da mariti e fidanzati sono più numerose che altrove, ma di poco. Il fenomeno si spiega con l'arretratezza culturale di parecchi maschi che considerano la famiglia alla stregua di una proprietà privata della quale disporre a piacimento, fino a uccidere chi non stia in riga. Ma da qui ad asserire che serva una legge particolare per ridurre i femminicidi ce ne corre. Figuriamoci. Sono parecchie le mamme che uccidono i loro bambini. Anche i padri si scagliano sui figli. Ieri sui giornali si leggeva di un muratore che ha massacrato il suo bebè di cinque mesi, e lo ha picchiato addirittura in ospedale dove il piccino era stato ricoverato per altre botte ricevute in casa. Significa che i violenti si scagliano sui deboli, non solo donne ma anche piccoli indifesi. E non dimentichiamo i vecchi che negli ospizi subiscono torture e che spesso nella loro abitazione vengono rapinati e bastonati. Che bisogno c'è di leggi ad hoc per ogni categoria? Si punisca l'omicidio in genere e si preveda un'aggravante nel caso in cui la vittima sia una persona in condizioni di oggettiva debolezza, indipendentemente dal sesso e dall'età. Il resto è sproloquio che confonde le idee e non tiene conto della realtà. La quale non si adatta a noi: siamo noi a doverci adattare a essa.

segue a pagina 11

di Vittorio Feltri

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