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Marino in bici, maglia rossa di narcisismo

Non sarà che il signor sindaco si sia messo a usare la bici per un eccesso di vanità?

Marino in bici, maglia rossa di narcisismo

Non ho niente di personale contro Ignazio Marino, neosindaco di Roma. Anzi. Apprezzo le sue posizioni sui diritti civili. Il fatto che egli militi nel Pd, al quale non ho mai dato il voto e mai lo darò, non m'importa. Ci mancherebbe. Insomma, non ho pregiudizi nemmeno nei confronti della bicicletta su cui Marino negli ultimi giorni è stato fotografato circa settecento volte. Si tratta di un mezzo di trasporto alla moda, ecologico; non inquina neanche acusticamente, dato che non è rumoroso, non consuma prodotti petroliferi, inoltre pedalare pare faccia bene alla salute.

Però ho un sospetto. Non sarà che il signor sindaco si sia messo a usare la bici per un eccesso di vanità, avendo scoperto che quando andava a piedi o in auto non se lo filava nessuno, mentre ora che si atteggia  a Fausto Coppi della mutua i paparazzi gli corrono appresso per scattare istantanee da rifilare ai giornali, i quali poi le pubblicano quotidianamente infliggendole ai poveri lettori? Marino non era mai stato molto popolare, nonostante le frequenti apparizioni in tv. Con la sua aria da primo della classe, era di sicuro rispettato e stimato, ma non si può dire che le masse smaniassero per vederlo issato sulla poltrona più alta del municipio romano.

Caspita. Dal momento in cui gli è venuta l'idea di esibirsi sul velocipede è diventato più famoso di Sabrina Ferilli in topless. Parlano di lui come di un fenomeno democratico: finalmente un politico che ha rinunciato spontaneamente alla berlina blu. Bravo. Applausi. Mi segnalano che un compagno, per godersi lo spettacolo del sindaco ciclista impegnato in una volata verso il Campidoglio, abbia inforcato egli stesso il «cavallo d'acciaio», tentando di tenergli ruota. Cosa riesce a fare lo spirito di emulazione!

Non possiamo che rallegrarci con Ignazio, non nuovo a scelte coraggiose, addirittura stupefacenti: cominciò come chirurgo, poi passò dal tavolo operatorio allo scranno parlamentare, per finire – un'ascesa irresistibile – alla scrivania di primo cittadino della capitale, lui che è di Genova. Un carrierone in ogni disciplina che ha praticato. Ma torniamo alla bicicletta. Abbiamo appreso con raccapriccio una notizia: poiché Marino, come è giusto che sia, gode della protezione della scorta essendo a rischio attentati, i poliziotti incaricati di badare alla sua incolumità sono condannati a seguirlo a piedi quando va a piedi, in auto quando va in auto e, udite udite, in bici quando va in bici.

Siccome il sindaco ormai scende dalle due ruote solo per coricarsi la sera, i suddetti poliziotti sono costretti per tutta la giornata a fargli da gregari, a porgergli la borraccia dell'acqua e soprattutto a tirare in salita per agevolarlo nello sprint in prossimità del traguardo, altrimenti farebbe brutta figura con i tifosi.

Le forze dell'ordine obbligate a sudare senza gloria per consentire al capitano di conservare la maglia rosa, pardon, rossa, che ne pensano? Per ora non si esprimono. Ma sappiamo che cosa pensavano gli angeli custodi di Irene Pivetti ai tempi in cui, da presidente della Camera, si faceva dieci chilometri di corsa al dì per mantenersi in forma, e loro dietro, trafelati, a sacramentare. Il giorno in cui cadde la legislatura, e con essa la terza carica dello Stato, la scorta esultò e brindò.

Caro Marino, riposi un po'.

La storia prima o poi si ripete.

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