Politica

MASSACRO IN LIBIA

È come un incendio nella savana. Si accende per un nonnulla. Ma quando il fronte del fuoco si estende per centinaia di chilometri non c'è niente da fare. C'è solo da aspettare. Alla fine si spegne da solo. Le fiamme della rivolta anti americana, diventata rivolta anti occidentale (tanto, siamo tutti uguali, agli occhi dell'islam fondamentalista) hanno crepitato ieri su un fronte lungo migliaia di chilometri, innescando un pericoloso effetto contagio. Un serpente di fuoco che ha toccato la Tunisia, il Libano, il Sudan, l'Egitto, il Kenia, fino al Kashmir e all'Indonesia. Una sorta di ubriacatura collettiva, quella innescata dal film su Maometto ritenuto blasfemo, che sta facendo morti, feriti, devastazioni incalcolabili. Un film abbastanza scemo, come lo furono a suo tempo le vignette pubblicate dalla stampa scandinava che fecero saltare la mosca al naso dei sepolcri imbiancati nelle scuole coraniche più ortodosse. Ma per le organizzazioni oltranziste islamiche, e per i gruppi del terrore, in sonno da qualche tempo, quel film -il nonnulla che ha scatenato l'incendio- si sta rivelando una manna dal cielo, prestandosi magnificamente a risvegliare quel fiero sentimento antioccidentale che da tempo languiva tra i caffè del Cairo e di Karachi.
Alte si sono levate ieri le fiamme a Tunisi, capitale di un Paese un tempo moderato, meta di un turismo popolare internazionale dove noi italiani, soprattutto, siamo di casa. Erano centinaia, ed erano armati di pietre e bastoni, i manifestanti che ieri hanno occupato l'ambasciata americana (che è stata evacuata) mentre le forze dell'ordine sparavano ad altezza d'uomo. Così seria si è profilata la situazione a Tunisi che il personale dell'ambasciata ha abbandonato il Paese, mentre a metà pomeriggio le agenzie battevano la notizia che anche la scuola americana della capitale nordafricana è stata attaccata e devastata. «Obama, Obama, tutti siamo Osama», intonavano i manifestanti, piegando idealmente il ginocchio in ricordo del fondatore di Al Qaida, Osama Bin Laden.
Le vittime, a Tunisi e dintorni, sono due. Di un morto e 30 feriti, sempre ufficialmente, si parla invece a Tripoli del Libano, dove nel giorno della visita di Benedetto XVI, la polizia ha sparato contro una folla di trecento manifestanti circa che non avendo trovato di meglio sul suo cammino ha scassato e incendiato la sede di un Kentucky Fried Chicken, catena di fast food americana.
Le stesse scene si sono viste anche in Sudan. Folle di scalmanati, auto rovesciate, vetrine in frantumi, fiamme e volute di fumo a Khartoum, dove gli obiettivi colpiti e «affondati» sono stati due: l'ambasciata britannica e quella tedesca, sul tetto della quale gli islamici hanno issato una bandiera verde. Il grosso dei manifestanti si è poi diretto verso l'ambasciata americana. Anche qui, scontri violentissimi, e tre cadaveri sull'asfalto, che portano almeno a sette il numero delle vittime di questa giornata di sangue. Un morto accertato e oltre duecento feriti anche al Cairo, nel giorno in cui la Cnn svela che gli 007 americani avvisarono l'ambasciata Usa in Egitto del pericolo del dilagare delle proteste il 9 settembre, due giorni prima della strage. E la paura cresce negli Usa dove due università, nel Texas e in Nord Dakota, sono state evacuate per allarme bomba mentre si temono proteste.
Le bandiere a stelle e strisce date alle fiamme non si sono contate, come d'uso. Drappi in fiamme si sono visti in Nigeria, in Giordania, in Siria, nello Yemen e perfino nel lontano Kashmir. Anche i talebani, naturalmente, non si sono persi l'occasione, bruciando in effigie la faccia sorridente del «Satana» americano. È come un incendio nella savana.

Si accende per un nonnulla.

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