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Mauro, il ministro che rifiutò la divisa

Il titolare della Difesa scelse il servizio civile. Ma ai militari piace per la sua disponibilità

Mauro, il ministro che rifiutò la divisa

Prima di passare in rassegna battaglioni, il neoministro della Difesa, il montiano Mario Mauro, aveva rifiutato il servizio militare, preferendogli quello civile. Era allora un giovanottone appena laureato in Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, riflessivo e straordinariamente secchione. A Milano aveva aderito a Cl e si era legato al leader Roberto Formigoni. Di tanto in tanto, tornava a Foggia, la sua città, per stare in famiglia e, se le date coincidevano, partecipare alla Via Crucis, percorrendo con altri ciellini diversi chilometri per raggiungere l'Abbazia benedettina di Noci. Camminava compenetrato della sacralità del rito e controllava che anche gli altri, che lo consideravano un capo, avessero un comportamento conforme. Se qualcuno di quei ventenni esagerava in allegria, lo raggiungeva e tirandogli il cappuccio del Montgomery - la moda era quella e la stagione fredda - diceva severo: «Vuoi stare più composto?». Era, insomma, piuttosto pretesco e davvero rompiscatole.

Dopo sei lustri, Mauro è oggi un occhialuto cinquantunenne che ha preso molto sul serio - com'è suo costume - l'incarico che il premier Letta gli ha affidato. Ha davanti a sé due problemi: la spina dei Marò in India e la faccenda delle truppe ormai vecchiette dopo il blocco del turn over imposto da Elsa Fornero, come ha raccontato su queste colonne Fabrizio Ravoni. Con francescana umiltà, Mauro ha visitato gli Stati maggiori per conoscere le urgenze delle diverse Armi. In pomeriggi di discussione, ha studiato come risolverle in tempi di vacche magre. La disponibilità del ministro ciellino ha suscitato speranze e simpatie tra le stellette che già temevano, dato il precedente del servizio civile, di trovarsi di fronte un lavativo.

Fino a gennaio, Mario Mauro militava nel Pdl ed era uomo di assoluta fiducia del Cav. Deputato europeo dal 1999, l'anno della sua iscrizione a FI, Mauro, con Antonio Tajani, rappresentava il berlusconismo a Bruxelles. Tajani con incarichi operativi, Mauro con compiti politici. Nocciolo della sua missione era tenere i collegamenti con il gruppo del Ppe, i Dc europei, cui il Pdl appartiene.

Un lavoro su misura per chi, come lui, è di formazione ciellina, convinzioni moderate e autore di libri sull'educazione cattolica. Tanto bene ha fatto che, nel 2009, per poco non diventava presidente del Parlamento Ue, dopo essere stato tra i vicepresidenti. Obiettivo mancato solo per questioni di alternanza tra nazioni. Sempre idilliaci i rapporti con Berlusconi. Mentre mezzo mondo storceva il naso per la ginnastica d'alcova del Cav, Mauro, forte della sua santa irreprensibilità, si erse a difesa. Con altri cirenei, il Celeste Formigoni, Lupi, Sacconi, si espose con una lettera aperta che fece rumore. Era rivolta ai cattolici e chiedeva di sospendere il giudizio per «non cadere nella trappola del moralismo e della gogna mediatica». Insomma, un amico.

È nell'autunno 2012 che le cose precipitarono quando il Pdl, esasperato dalle baggianate che faceva, si rivoltò contro Monti. Ma l'Ue, che lo considerava proprio fiduciario, la prese male e anche in Mauro scattò un riflesso ultra europeista, più forte dell'antica amicizia. Permeato degli umori di Bruxelles, cominciò a dare di matto appena corse voce che Berlusca potesse ricandidarsi. «È un tragico errore», esclamò irato contro l'uomo cui doveva tutto. Lo trattò da populista, anti europeo, accusandolo come un qualsiasi anti berlusconiano di avere «molto detto e poco fatto». Infine, fu il regista di un perfido scherzetto. Era prevista la rentrée del Cav, dopo un anno di assenza, nel summit Ppe organizzato a Bruxelles il 14 dicembre 2012. Berlusconi pregustava di essere al centro della scena ma Mauro fece inaspettatamente comparire Monti che, nulla avendo a che fare col Ppe, non avrebbe dovuto essere lì. Il Professore attirò gli applausi di tutti e il Cav ne ebbe la festa rovinata. Per Mauro era stata un'aperta scelta di campo: il salto della quaglia dall'uomo di Arcore al bocconiano. Non era però lui l'unico a tramare. Era solo il più scoperto.

Nella fatale settimana tra il summit Ppe e la riunione al Teatro Olimpico di Roma (16 dicembre 2012) la quasi totalità dei maggiorenti Pdl stava abbandonando Berlusconi, ritenuto senza più cartucce, per Monti, dato per vincitore delle elezioni alle porte. Inutile elencare i Bruti. Molti sono tuttora i cosiddetti fedelissimi del Berlusca. La scissione fu evitata all'ultimo dal Cav che entrò con piglio nella lizza elettorale, rianimando speranze di vittoria e di poltrone. Tutti si riallinearono e Mauro restò col cerino in mano, quasi fosse l'unico frondista. Amareggiato, dichiarò a testimoni: «Conservo gli sms di Angelino Alfano che mi diceva di andare avanti nella mia azione» e, con coerenza, lasciò il Pdl per Scelta civica di Monti. Gli è poi andata bene con l'elezione a senatore e la poltrona di ministro, cui non sono estranee le pressioni del Ppe. Oggi che le acque si sono calmate, sia Mauro sia il Cav hanno manifestato nostalgia l'uno dell'altro. Se non un rientro nel Pdl, una riappacificazione tra i due è tutt'altro che esclusa.

Mario, di benestante famiglia foggiana, è nato a San Giovanni Rotondo, dove tutto parla di Padre Pio. L'uso beneaugurante di fare nascere i bambini nei luoghi del santo era diffuso. Ignoro se sia stato anche il caso del Nostro. Di certo, i Mauro erano gente di chiesa. Il papà, funzionario pubblico, era presidente dell'Azione cattolica di Foggia, la mamma insegnante. Ebbero tre figli. Una femmina che oggi vive a Padova e che i genitori hanno raggiunto abitando colà. Il maggiore dei due maschi, Mauro, l'unico che viva tuttora a Foggia, e il solo che abbia dirazzato dalle pie strade familiari. È, infatti, un militante di Sel e vendoliano dichiarato. Infine, Mario. Già ai tempi del Liceo classico «Vincenzo Lanza», fine anni Settanta, era considerato un'autorità. Sermoneggiava nel cortile o all'uscita di scuola di complessi ideali comunitari e religiosi e la sola cosa che gli uditori capivano è che avrebbe fatto strada. Quando tornava da Milano, nelle pause della Cattolica e già iscritto a Cl meneghina, si incontrava con i ciellini locali nella sede episcopale e insieme organizzavano feste. A una, Mauro portò il Celeste e il suo prestigio arrivò alle stelle. L'ambiente era quello della Foggia bene e queste frequentazioni tra eguali - per fede e censo - si risolvevano spesso in matrimoni. Mario incontrò Giovanna Belardinelli, dottoressa in Matematica, e dopo laurea, presa nel 1985, la impalmò. Hanno due figli, Francesca Romana e Angelo. Oggi che vive tra Roma e Milano (il suo collegio), ritorna a Foggia col contagocce.

Sperando di non incrociare il fratello vendoliano.

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