Politica

Milano mostra le manette a Berlusconi

Nuova trappola per l'ex premier: i giudici del "Ruby bis" chiedono di incriminarlo coi suoi legali per corruzione di testi

Il pm Ilda Boccassini al convegno sui processi telematici
Il pm Ilda Boccassini al convegno sui processi telematici

Milano -  Hanno un bel dire quelli che sostengono che Silvio Berlusconi adesso non rischia di finire in galera. Perché a meno di 48 ore dal voto di Palazzo Madama che lo ha espulso dal Parlamento, sul Cavaliere piovono le motivazioni della sentenza del processo Ruby 2. Processo in cui tecnicamente parlando il Cavaliere non era imputato, avendo già scontato le sue presunte colpe nel processo a suo carico. Qui sul banco degli imputati c'erano Lele Mora, Emilio Fede, Nicole Minetti. Ma le quasi 400 pagine di motivazioni che il giudice Annamaria Gatto consegna ieri in cancelleria ruotano tutte intorno a lui, alle sue feste, alle sue passioni incontenibili. E ai suoi tentativi di comprare il silenzio dei testimoni. Per questo, scrive il giudice, Berlusconi deve essere incriminato per corruzione in atti giudiziari. Il più grave dei reati contro l'amministrazione della giustizia, per il quale il carcere preventivo è possibile e anzi probabile: come sperimentò a suo tempo Cesare Previti, che solo il voto del Parlamento salvò dal mandato di cattura chiesto da Ilda Boccassini. Ma Previti era parlamentare. Berlusconi, da mercoledì scorso, non lo è più. Nessuna corazza lo protegge dall'offensiva che vedrà il via immediatamente, con la iscrizione del suo nome nel registro degli indagati della Procura di Milano, il «regalo di Natale» che il procuratore Bruti Liberati gli aveva promesso con congruo anticipo già nell'ottobre scorso.
Corruzione in atti giudiziari: per lui, per i suoi difensori Niccolò Ghedini e Piero Longo, per le dieci ragazze che nel gennaio 2011, dopo essere state perquisite su ordine della Procura, vennero convocate per una riunione ad Arcore. Fu in quella riunione, secondo i giudici milanesi, che alle ragazze venne fatta la promessa: stipendio fisso, 2.500 euro al mese, in cambio delle vostre bugie quando verrete interrogate. Ma come arrivano, i giudici del caso Ruby 2, a stabilire con tanta certezza quali ragazze hanno mentito? Che la verità vera sulle serate di Arcore non è quella - tutta aneddoti politici e canzoni di Apicella - fornita per esempio dalle gemelle De Vivo, ed è invece l'«orgia bacchica» descritta dalla Procura sulla base di testimonianze come quelle di Melania Tumini? Il ragionamento è tanto semplice quanto apodittico: le testimoni d'accusa sono credibili perché accusano, e non avrebbero motivo di mentire; di conseguenza i testimoni della difesa mentono in blocco, perché prezzolati. Ad Arcore, ergo, la prostituzione era la regola. Nel descrivere lo scambio tra sesso e denaro, a Berlusconi i giudici riservano espressioni crude: come quando definiscono le banconote che offriva a fine cena, «una sorta di pastura che precede la pesca».
Il Cavaliere invade anche questa ribalta, insomma, al punto che le figure dei veri imputati restano quasi sullo sfondo. Quella di Nicole Minetti, che ne esce meglio di tutti, visto che i giudici danno atto che non ha mai indotto nessuno a prostituirsi, e che Ruby l'ha conosciuta a cose fatte; ma le rifilano comunque cinque anni di carcere per avere pagato i bollettini della luce e dell'affitto della case di via Olgettina («occuparsi dei problemi pratici si concretizzava in una agevolazione della attività prostitutiva delle donne»). Quella di Lele Mora, che da talent scout si sarebbe trasformato in «procacciatore» di ragazze; e soprattutto quella di Emilio Fede, che per i giudici è il «burattinaio» delle serate, mosso dalla necessità di «mantenere alto l'umore del suo potente amico che a causa dei problemi che gli derivavano dalla carica istituzionale ricoperta era spesso stanco, incazzato, e aveva necessità di distrarsi».
Ma se fosse tutto qua, se anche la verità sulle sere di Arcore fosse questa, non basterebbe a incastrare Berlusconi. Perché, come è noto, l'utente finale non commette reato. A meno che non ci sia di mezzo una minorenne. E così per la sentenza diventa indispensabile fare a pezzi lei, Ruby, la protagonista eponima di questa saga. Proprio nell'aula del processo Ruby 2, Kharima el Mahroug è venuta a dire che lei ad Arcore non si è spogliata, non è stata sfiorata, non ha fatto sesso. Menzogne, menzogne a pagamento: «La giovane ha dimostrato non solo la sua indubbia intelligenza ma anche una sicura furbizia selezionando attentamente le cose che poteva confermare e quelle che doveva smentire, quali domande evadere rifugiandosi dietro i “non ricordo”, chi doveva salvare e chi poteva buttare a mare, e ciò tenendo presente sempre il suo personale tornaconto». Questione, pare, di Dna: «La tendenza a mentire al tribunale deve essere una caratteristica dei componenti della famiglia el Mahroug».

E anche per lei, come per il suo ex avvocato Luca Giuliante, si apre il processo per corruzione giudiziaria.

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