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Milano, il Tar come Babbo Natale: maxi rimborsi per 204 magistrati

La Consulta aveva bocciato il taglio degli stipendi deciso dal governo nel 2010. Ora il Tribunale amministrativo decide il risarcimento urgente (con gli interessi)

Milano, il Tar come Babbo Natale: maxi rimborsi per 204 magistrati

Milano - É un Babbo Natale un po' più generoso del solito quello arrivato in questi giorni per un piccolo esercito di magistrati milanesi. A una lunga lista di toghe - 204, per l'esattezza - una sentenza del Tar della Lombardia ha riconosciuto il diritto a vedersi risarcire, ovviamente «con rivalutazione ed interessi», il danno ingiustamente patito nel corso degli ultimi due anni, da quando un provvedimento del governo Berlusconi diede una sforbiciata alle loro retribuzioni e a quelle dei manager pubblici. Tutti stipendi, quelli dei 204 magistrati milanesi, sopra i novantamila euro all'anno, e per questo ricaduti - chi più chi meno - sotto la scure del decreto Tremonti.
Dalla categoria si erano alzate proteste veementi. Tranne qualche voce isolata (una per tutti l'ex procuratore Francesco Saverio Borrelli, che aveva invitato i colleghi a fare la loro parte di sacrifici) il decreto era stato accusato dal popolo in toga di costituire un attacco alla sua indipendenza, oltre a violare l'uguaglianze dei cittadini.
Il provvedimento prevedeva che tutti gli stipendi pubblici superiori ai 90mila euro vedessero un taglio del 5 per cento nella parte tra i 90mila e i 150mila euro, e del 10 per cento nella parte sopra i 150mila. Il 30 luglio 2010 il provvedimento era stato approvato dalle Camere. Ma i magistrati non si erano arresi. A Milano, una class action contro l'iniqua sanzione aveva raccolto l'adesione della maggioranza delle toghe milanesi.
Nell'elenco dei 204 che firmarono il ricorso al Tar compaiono i nomi di quasi tutti i protagonisti delle cronache giudiziarie di questi anni, tanto che si fa prima probabilmente a dire chi non c'è: tra i pochi vip del Palazzaccio che non hanno firmato il ricorso ci sono il procuratore Edmondo Bruti Liberati, i suoi vice Piero Forno, Ilda Boccassini e Alfredo Robledo, la presidente del tribunale Livia Pomodoro. Per il resto ci sono quasi tutti: dal giudice del Lodo Mondadori Raimondo Mesiano al procuratore aggiunto Armando Spataro, al giudice del caso «Ruby» Giulia Turri, all'ex giudice del caso Mills Nicoletta Gandus. E poi giudici, pubblici ministeri, presidenti di sezione, consiglieri di corte d'appello, esponenti delle correnti di sinistra, di centro e di destra del sindacalismo di categoria. Tutti concordi nel chiedere al Tar «il riconoscimento del diritto dei ricorrenti a ricevere le proprie decurtazioni di cui al comma 2 dell'articolo 9» eccetera.
Investito della spinosa questione, il Tar della Lombardia aveva girato la palla alla Corte costituzionale, ventilando l'illegittimità del decreto tagliastipendi. E il 10 ottobre scorso la Consulta ha fatto propri questi dubbi, azzerando l'articolo incriminato della legge. Il decreto Berlusconi-Tremonti viene marchiato come un sacrificio «irragionevolmente esteso nel tempo» e «irrazionalmente ripartito tra diverse categorie di cittadini» perché colpisce solo i superstipendi pubblici ma non quelli privati. Inoltre il decreto viene giudicato lesivo dell'autonomia e della indipendenza della magistratura: l'aumento automatico degli stipendi, sostiene la Corte costituzionale, è una garanzia della libertà dei magistrati: che se dovessero dipendere dalla generosità del potere politico finirebbero per essere condizionabili. È un argomento, a ben vedere, un po' pessimista sul vigore morale dei magistrati; ma tant'è.
A stretto giro di posta, dopo la sentenza della Consulta, è arrivata nei giorni scorsi la decisione del Tar della Lombardia: «Il ricorso va accolto, attesa l'illegittimità delle trattenute effettuate sugli stipendi dei ricorrenti (...) Per l'effetto, l'amministrazione va condannata alla restituzione delle predette differenze stipendiali illegittimamente non corrisposte».

E insieme alle tredicesime sono arrivati gli arretrati: intorno ai seimila euro per i magistrati di media anzianità, e a salire per i colleghi più esperti.

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