Politica

Il moralismo penoso di Celentano

La stecca del Molleggiato sul "grano" di Farinetti ripropone una vecchia storiella impregnata di saggezza: quella del bue che dà del cornuto all’asino

Il moralismo penoso di Celentano

Qualcuno sostiene che la polemica fra Adriano Celentano e Oscar Farinetti - entrambi vagamente di sinistra, politicamente parlando - sia stucchevole. A noi invece sembra divertente, perché ripropone una vecchia storiella impregnata di saggezza: quella del bue che dà del cornuto all'asino. La notizia non è inedita ma va riassunta per comodità del lettore al quale fosse eventualmente sfuggita. Il renziano Farinetti, che abbiamo la fortuna di conoscere solo di fama, ha aperto anche a Milano una filiale di Eataly, un supermercato di lusso dove si comprano cibi genuini.

Primo commento: meglio un'azienda che apre di una che chiude, come accade di frequente in questo periodo scalognato di crisi. Il guaio, secondo Celentano, è che l'imprenditore abbia scelto quale luogo idoneo ad avviare la propria attività un teatro storico, lo Smeraldo, ormai dismesso. Un reato? Peggio, un sacrilegio, un affronto alla cultura. Con un'aggravante imperdonabile: stando al Molleggiato, non si può trasformare un tempio dell'arte in una volgare rosticceria allo scopo di fare soldi.
Ullallà, che argomentazioni alte. La riprovazione del cantante-predicatore probabilmente era degna di miglior causa. Infatti lo Smeraldo, per quanto si tratti di un edificio pregevole progettato nel 1942 da due architetti di ottima fama (Alberto Alpago Novello e Ottavio Cabiati), era da tempo inutilizzato, fuori uso, per andare giù piatti. Il Comune, retto da una giunta di sinistra, per definizione paladina della cultura, non aveva mai manifestato l'intenzione di restituire la nobile struttura all'antico splendore. La quale struttura, di conseguenza, era destinata a sgretolarsi sotto il peso dell'incuria e del menefreghismo (anche dei milanesi, che la sera raramente escono di casa per dilettarsi assistendo a uno spettacolo di qualsivoglia genere).

In altri termini, dello Smeraldo non importava un accidenti a nessuno. More solito. E allora? O un riccone come Celentano si faceva avanti per comprarlo e riportarlo in vita, oppure lo si riciclava, rimettendolo in sesto. Dato che Adriano non ha spalancato il portafogli (braccino corto), si è mobilitato Farinetti - pagando il giusto prezzo - e lo ha adibito a centro di prelibatezze. Dov'è lo scandalo? Nell'astrattezza taccagna di Celentano, che accusa il patron di Eataly di pensare solo al profitto. E a cos'altro dovrebbe puntare un imprenditore se non a realizzare utili finalizzati a rendere prospera la propria ditta?

Lo stesso principio - quello di riempire il cassetto di denaro - ha peraltro ispirato la lunga e inimitabile carriera dell'ex dinoccolato di Galbiate (ora un po' irrigiditosi: gli anni passano per tutti), tanto è vero il signor Moralista ha un patrimonio invidiabile almeno quanto quello del «bottegaio», essendo stato capace per decenni di farsi strapagare dal pubblico amante delle sue canzoni e dei suoi sermoni tediosi e banali.

Al purissimo Adriano rivolgiamo una domanda rispettosa: che differenza c'è tra uno che fa quattrini con le salamelle e le mozzarelle e uno che li fa con i dischi e le omelie? Tra i due business c'è in ogni caso una comunanza: l'assenza di cultura. In nome della quale Celentano straparla. Farinetti almeno non se la tira: tira al grano.

Sincerità e onestà sono sorelle gemelle.

Commenti