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Napolitano incalza il premier: "Le riforme vanno fatte subito"

Il capo dello Stato non permetterà a Letta di vivere alla giornata. Dalla legge elettorale alle istituzioni, pochi i margini di manovra

Napolitano incalza il premier: "Le riforme vanno fatte subito"

Riforme, e subito. Rifare «la struttura dello Stato e delle pubbliche amministrazioni», rinnovare «la partecipazione politica», combattere «le inefficienze»: sono questi i provvedimenti «necessari», anzi «improcrastinabili» da adottare in fretta per evitare «la delusione e il distacco» della gente dal Palazzo. Detta così, sembra la solita pappina quirinalizia. In realtà è la nuova strada tracciata da Giorgio Napolitano, l'agenda che occorre seguire per dare un senso alla legislatura dopo l'uscita di Forza Italia dalla maggioranza e la fine delle larghe intese. «Galleggiare» non basta più, tocca alzare «l'indice di rendimento istituzionale». E resistere alla guida del governo non è sufficiente. La Stabilità è molto ma non è tutto, Enrico Letta se ne deve fare una ragione.

«Ci penserò». Così l'altra sera, con due parole, il presidente aveva chiuso l'ora e mezzo di udienza con la foltissima delegazione di Fi salita a chiedere una crisi formale. Pochi minuti più tardi, l'invito al premier a verificare la nuova maggioranza con un passaggio parlamentare: non si può far finta che non sia successo nulla, occorre un altro voto di fiducia. Il giorno dopo la bacchettata, ecco i compiti a casa: «senza cedere a facili demagogie e avendo ben presente il contesto interno ed europeo», è arrivato il momento «di agire». Le riforme, scrive Napolitano in un messaggio al Psi riunito in congresso, sono urgenti, ne va «della profondità e della vitalità dello sviluppo democratico».
La grande scommessa di Re Giorgio è quella di riuscire finalmente, dopo decenni di chiacchiere, ad avviare il Paese verso la Terza Repubblica. È stato il marchio di fabbrica della sua rielezione al Quirinale e il cemento delle larghe intese, insieme alla tenuta dei conti pubblici. Ora però che Forza Italia si è sfilata votando contro la legge di Stabilità, il progetto comincia a scricchiolare.

Da qui la scelta del Colle di «voltare la pagina dell'agenda», imponendo una verifica di maggioranza e rilanciando il piano di riforme. Qualcuno ha parlato di retromarcia, qualcun altro di un tentativo di svelenire il clima, altri ancora di un contentino, di un osso gettato a una Forza Italia traumatizzata dalla decadenza da senatore - e dal modo in cui avvenuta - di Silvio Berlusconi.
Ma in effetti, dietro la mossa del cavallo del capo dello Stato che ha vistosamente spiazzato Letta, c'è una consapevolezza: senza Fi sarà difficile fare le riforme, le strette intese non hanno i numeri per rivoluzionare l'architettura istituzionale del Belpaese. E Giorgio Napolitano, che a 88 anni è stato trattenuto sul Colle quasi controvoglia, tutto vorrebbe tranne che «regnare» su un'altra legislatura di transizione. Non ci si può «trascinare». A quanto pare nell'incontro di giovedì sera i plenipotenziari di Forza Italia non si sono detti «pregiudizialmente indisponibili al dialogo». Forse c'è spazio di manovra, magari spacchettando i vari capitoli.

Napolitano e Letta si vedranno lunedì per concordare il percorso che porterà alla nuova fiducia. Il premier vuole aspettare il 9 dicembre e il risultato delle primarie del Pd che dovrebbero incoronare Matteo Renzi, però sa che più di tanto non può traccheggiare. Anzi, è proprio questo un motivo di possibile contrasto con il Quirinale. Se il presidente del Consiglio, che ha perso una settantina di voti al Senato, pensa di vivacchiare alla democristiana, di traghettare l'Italia senza una rotta precisa, ha sbagliato i suoi calcoli. Napolitano vuole vedere dei risultati.
«Il 2014 sarà l'anno delle riforme», annuncia infatti Letta da Vilnius». Il vero nodo è la legge elettorale.

Il 3 dicembre la Corte Costituzionale forse cancellerà il Porcellum e, se non vorranno tornare al vecchio Mattarellum, in qualche maniera i partiti dovranno pur mettersi d'accordo.

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