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Napolitano scioglie le Camere. E insiste su Monti super partesGLI SMONTATI

Napolitano scioglie le Camere. E insiste su Monti super partesGLI SMONTATI

Non sempre i sogni svaniscono all'alba: talvolta finiscono al tramonto, come quello di Pier Ferdinando Casini, un illuso che aveva puntato le ultime fiches su Mario Monti e quando, venerdì, questi è uscito di scena, si è trovato con le tasche vuote. Ha commesso un grave errore, il leader dell'Udc: pensava che il Professore fosse l'uomo giusto per trasformare il suo centrino gracile, inchiodato da lustri al 5 per cento, in una forza della natura come la vecchia e indimenticata Democrazia cristiana.
Invece il premier dimissionario si è rivelato un falso profeta. Un bluff, ma non uno sciocco. Non appena si è accorto che i sondaggi, qualora fosse sceso nell'agone politico, lo accreditavano sì e no di una piccola percentuale di consensi (dal 4 al 6), ha rinfoderato ogni velleità e ha cominciato a traccheggiare. Al momento, egli è più propenso a ritirarsi dalla competizione che non a parteciparvi. Cosicché Pierfurby è rimasto con un palmo di naso. Senza Monti (...)

(...) nel motore, la sua gioiosa macchina da guerra rischia di incepparsi. Anzi, è già ferma ai box, circondata da meccanici disperati e incapaci di farla ripartire.
I calcoli di Casini erano noti: l'Udc raccatta il 5 per cento dei voti; se si allea con Gianfranco Fini (Fli) può arrivare al 7; aggiungi il 2 per cento di Luca Cordero di Montezemolo, e sale al 9. Nell'eventualità si accodasse il bocconiano, che gode della stima di molti italiani, il bottino dei suffragi sarebbe valutabile intorno al 20 per cento, quanto basta per condizionare la prossima legislatura. Il disegno sembrava perfetto: Pier Luigi Bersani sarà costretto a scendere a patti con noi - ipotizzava Casini - e Monti rientrerà a Palazzo Chigi al vertice di una maggioranza costituita dal Pd e da un Centro massiccio, arricchita da chissà quanti berlusconiani pentiti e convertitisi al montismo. Troppo facile per essere vero.
In realtà, il capo del governo tecnico sarebbe sì in grado col suo nome di racimolare un bel po' di «croci», se non altro perché dà l'impressione di essere serio; ma se si allea con gente superata, quale appunto Casini, Fini e altri veterani della politica inconcludente, perde ogni credibilità agli occhi stanchi degli elettori e disperde all'istante il proprio patrimonio di voti potenziali. Tirando le somme, al premier non conviene immischiarsi nelle faccende della politichetta: non coglierebbe l'obiettivo di confermarsi capo dell'esecutivo e si pregiudicherebbe anche l'ingresso al Quirinale.
Ecco perché egli ha fatto un passo indietro, abbandonando a se stessi i centristi: ha capito che con loro non andrebbe da nessuna parte. Si siederà sulla sponda del fiume e aspetterà con pazienza lo spoglio delle schede: se la maggioranza che sortirà dalle urne sarà solida e guidata da Bersani, per il Professore la strada che conduce al Colle, anziché in salita, sarà in discesa; se, viceversa, sarà debole e pasticciata, non all'altezza di sostenere un governo rossiccio, allora ci sarà, probabilmente, ancora bisogno di lui come premier tecnico, con grande sollievo dei suoi mentori europei.
In entrambi i casi che ne sarà dei sognatori? Casini avrà il suo bel daffare a tenere in piedi il proprio partitino del 5 per cento; Montezemolo rinuncerà all'avventura politica e si consolerà con la Ferrari; Fini brigherà (si ignora come) per assicurarsi la permanenza nel Palazzo. E tutti vivranno infelici e scontenti.

Saremo condannati ancora a sopportare il solito deprimente spettacolo.

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