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«Non ho deciso se torno, lo farei per l'Italia»

Roma«Sono sempre stato assolto, e sarà così anche per il processo Ruby». Silvio Berlusconi, in un'intervista al quotidiano francese Libération, torna sugli infiniti tentativi della magistratura inquirente di infliggergli una condanna. E manifesta sicurezza. «Una parte estremista e politicizzata della magistratura ha cominciato a perseguitarmi da quando sono entrato in politica, e non ha più smesso. Gli italiani lo hanno capito, e sono con me».
La parentesi giudiziaria lascia però presto spazio all'attualità. La curiosità francese si concentra sul suo possibile ritorno come candidato premier. Berlusconi, però, non scioglie la riserva. «Ho nominato un successore alla testa del Pdl che ha 33 anni meno di me ed è leale e competente. Ma tutto il partito, a cominciare dai deputati, mi chiede di tornare per beneficiare della mia popolarità in campagna elettorale» spiega. «Non ho ancora deciso ma una cosa è sicura: sono sempre stato al servizio del mio Paese». Se il ritorno dovesse avvenire, ribadisce, sarebbe sotto la spinta del «senso di responsabilità verso il mio Paese e forse dell'amarezza di non aver fatto tutto ciò che volevo». Berlusconi torna poi sulle circostanze del suo addio respingendo l'ipotesi di una «azione concertata» di Francia e Germania per spingerlo all'abbandono. «Non ne so niente e non ci credo», dichiara, precisando di essersi dimesso per «far nascere un governo di tecnici che beneficiasse dell'appoggio di maggioranza e opposizione, al fine di poter finalmente cambiare la struttura dello Stato e fare dell'Italia un Paese governabile come la Francia. Sfortunatamente, per il momento, così non è stato». «Sono stato il solo nella storia della Repubblica a dimettersi quando aveva ancora la maggioranza nelle due Camere e senza un voto di sfiducia», ricorda poi. «L'opposizione e la stampa attribuivano al mio governo gli spread elevati, e l'evoluzione negativa dei mercati. Pur non essendo convinto da questa analisi, ho accettato di ritirarmi per senso di responsabilità. Tutto ciò che è stato fatto dal governo Monti, l'avevamo già messo in un decreto legge». A proposito del Professore, Berlusconi ribadisce il sostegno all'esecutivo, ma con un distinguo: «Abbiamo sostenuto lealmente il governo, e questo si è manifestato in parlamento con 34 voti di fiducia. Ma è vero che si tratta di un sostegno critico, un pungolo per l'adozione di riforme costituzionali e di misure per la crescita».
L'intervista passa poi dall'Italia all'Ue, e in particolare all'ipotesi di un'uscita del nostro Paese dall'euro, che l'ex premier avrebbe definito «non una blasfemia». «L'ipotesi di un'uscita dall'euro è senza dubbio stata brandita da certi membri del mio partito in modo tattico per far cambiare direzione alla posizione tedesca. Ma nel Pdl riteniamo tutti che sarebbe un disastro» spiega. «Ho solo detto che di fronte all'intransigenza sulla disciplina di bilancio e al rigore, obiettivi importanti ma insufficienti se non si prendono misure sulla crescita, il problema di un'uscita dall'euro finirà per porsi inevitabilmente, almeno per salvare la forza produttiva del nostro Paese». Nel frattempo continua l'infinita partita a scacchi sulle alleanze. E mentre 173 parlamentari del Pdl firmano un documento in cui si impegnano alla tutela di una «forte difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna», in aperta polemica con le scelte dell'Udc, Berlusconi appare sempre più convinto di una legge elettorale che, affidando il premio al primo partito, svincoli il Pdl dalla necessità di ricercare alleanze con altre forze, Lega compresa.

Meglio una sfida aperta con il Pd sui programmi, il suo ragionamento, che uno slalom nella Babele dei compromessi.

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