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Un nuovo colpo di Al Qaida l'11/9 Ucciso l'ambasciatore Usa in Libia

Un nuovo colpo di Al Qaida l'11/9 Ucciso l'ambasciatore Usa in Libia

Un film anti Islam utilizzato come pretesto e diversivo, l'attacco militare ben pianificato da miliziani salafiti legati ad Al Qaida e la data simbolo dell'11 settembre sono il miscuglio esplosivo che ha ucciso l'ambasciatore Usa in Libia e altri tre americani. Un segnale forte e chiaro del lato oscuro della primavera araba.
Tutto è iniziato l'11 settembre, martedì sera. Al Cairo, la capitale egiziana, viene circondata l'ambasciata Usa per protestare contro il film «L'innocenza dei musulmani», considerato un insulto a Maometto. Poco dopo, verso le 21.30, la scena si ripete a Bengasi attorno al vasto compound del consolato americano nel capoluogo della Cirenaica. Il film anti Islam che rischia di far ribollire il mondo musulmano serve come diversivo. Almeno duecento miliziani islamici salafiti con Kalashnikov, razzi Rpg e molotov bloccano tutte le strade attorno al compound. «Erano armati fino ai denti e dicevano di voler uccidere tutti quelli che si trovavano dentro la sede Usa», racconta un testimone, Sofian Kadura, ex pilota di aerei che ha partecipato alla rivoluzione. «Si è trattato di una azione più militare, un attacco iniziato senza che fosse preceduto da slogan di protesta» ha confermato il console italiano a Bengasi, Guido De Sanctis, che si trovava casualmente nelle vicinanze.
Attorno alle 21.40 i miliziani scatenano l'assalto con molotov, razzi e raffiche di mitra. L'obiettivo è l'ambasciatore americano in Libia Christopher Stevens, che si trova nel compound. All'esterno una decina di poliziotti, che tentano di intervenire, vengono uccisi. I miliziani penetrano nel compound, ma la battaglia continua e nessuno interviene. Alla fine riescono ad ammainare la bandiera a stelle e strisce e alzare quella nera dei salafiti vicini ad Al Qaida. Il peggio, però, deve ancora venire.
Una prima versione della autorità libiche parla di un razzo Rpg a spalla lanciato verso il fuoristrada dell'ambasciatore che tenta la fuga. Poi saltano fuori su internet le foto del cadavere e si capisce che non ha ferite traumatiche, come se fosse stato centrato veramente da un razzo. È grigiastro, bruciacchiato con il petto denudato e qualche taglio. «Pensiamo che con la sua sicurezza abbia tentato di barricarsi in un edifico considerato più sicuro» spiega al Giornale una fonte diplomatica europea in Libia. Il vice ministro dell'Interno libico, Wanis al Sharif, conferma che gli americani si sono diretti «in una casa rifugio».
Gli assalitori, però, conoscono l'ubicazione e l'attaccano. Il rappresentante Usa sarebbe morto per asfissia a causa del fumo degli incendi. Lo conferma il medico che ha cercato disperatamente di rianimarlo. Nella mattanza rimangono uccisi anche due marines e Sean Smith, un agente dei servizi Usa, che poco prima di perdere la vita ha inviato sulla linea su cui stava «chattando» il drammatico messaggio «stasera potrei morire». Altri cinque americani rimangono feriti. «Sono andati via verso mezzanotte» racconta Kadura, testimone dell'attacco, riferendosi ai miliziani filo Al Qaida. Il personale americano superstite viene evacuato nella notte con un volo diretto a Tripoli.
Poche ore dopo sui siti jihadisti circola la rivendicazione dell'attacco che vendica l'uccisione del numero due di Al Qaida, il libico Abu Yahya al-Libi. Un drone americano lo aveva incenerito il 4 giugno nelle aree tribali pachistane. Il governo di Tripoli punta il dito contro il gruppo Ansar al Sharia, i partigiani della legge islamica dura e pura, che si «rallegrano» per l'assalto a Bengasi ma smentiscono la paternità. In realtà si tratta di un cartello di estremisti attivi nello Yemen e in Tunisia e con una sede a Beida, la cittadina libica da dove negli anni passati sono partiti tanti kamikaze per l'Iraq. Sempre a Bengasi il 12 giugno un convoglio sul quale viaggiava l'ambasciatore britannico è stato colpito da un razzo Rpg. La sede Usa in città era già stata attaccata dalla «brigata» che si ispira ad Omar Abdel Rahman, lo sceicco cieco imprigionato negli Usa per il primo attentato alle Torri gemelle del 1993. «L'ambasciatore Usa forse è stato imprudente a recarsi a Bengasi in questo momento» spiega al Giornale una fonte a Tripoli.
I salafiti non solo hanno colpito l'11 settembre, ma alla vigilia della nomina del premier libico da parte del primo Parlamento eletto liberamente dopo 40 anni di regime di Gheddafi, che si è riunito ieri sera con addosso l'ombra cupa di Al Qaida.
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