Politica

Oggi forza Bersani

L'ex leader Pd operato al cervello dopo un'emorragia. Destra e sinistra unite nell'affetto: stavolta "votiamo" tutti per lui

Pier Luigi Bersani durante l'assemblea annuale di Confartigianato
Pier Luigi Bersani durante l'assemblea annuale di Confartigianato

Questa volta non parliamo di politica. Non ne vale la pena. È molto più importante l'uomo, con quella faccia da emiliano che davvero non ti può stare antipatica, anche se non sei d'accordo con lui, anche se qualche volta non lo capisci e poi magari con qualche esempio surreale ti strappa un sorriso. Qui, adesso, non ci sono giaguari da smacchiare o pannelli fotovoltaici per le lucciole. Non ci sono elezioni, non ci sono governi, non c'è il Pd, non c'è la sinistra, non ci sono neppure conflitti d'interesse. Adesso c'è solo da tifare per lui, per Pier Luigi Bersani. Non è retorica. È che se lo merita.
Tutti noi spesso non facciamo molto caso a quanto la fatica quotidiana sia bastarda. Pensi sempre che domani o dopodomani magari stacchi, ti prendi una pausa, ti butti le snervature alle spalle e passi la giornata accanto a tua moglie e ai tuoi figli, una di quelle giornate senza pretese, dove fai cose banali ma senza affanni, metti su una vecchia canzone di Vasco o sfogli quei vecchi album in vinile degli Ac/Dc che non spolveri da tempo, con tutti quei ricordi da giovanotto quando tra una riunione di partito e uno sguardo a qualche ragazza ci scappava pure una notte metal, mischiando senza pudore whisky e chinotto. Roba che puoi fare solo se sei cresciuto in paese e te ne freghi se a Roma o a Milano qualcuno alle spalle sogghigna di te. Ce ne vorrebbero di giornate così. Solo che le rogne bussano e per dovere, potere, responsabilità, e certo anche per ambizione, per rabbia e per passione non riesci mai a dire di no e rimandi, tanto il tempo per riposarsi davvero prima o poi arriva. E chiedi perdono alla tua testa, al tuo corpo, alla tua vita. Pazienza. Dai ragassi promesso, l'ultimo sforzo e poi si fa come Grillo, mandiamo tutti in quel posto e per una settimana non ci trova nessuno. Facile a dirsi. Poi ti arriva una telefonata di sera, come quella sulla storia di Renzi e Fassina, il «Fassina chi» e l'orgoglio e la rabbia di Stefano, tutto il casino per questo Pd che non si riconosce e il governo che sta sempre lì come le foglie d'autunno, tra il cade e il non cade, e le stramaledette pazzie di un Paese che non si capisce, e allora i nervi strillano e ti strappano dalla bocca santi e imprecazioni, il motore barrisce e ti salgono alla testa gli umori più neri, quelli che spaccano e sporcano il sangue. I medici lo chiamano ictus. Nausea, testa che gira, immagini sfocate. È che proprio non ce la fai più, dopo un anno così. Le elezioni, il traguardo mai così vicino, dopo una carriera a sopportare i presunti cavalli di razza, il figlio del benzinaio di Bettola che vede Palazzo Chigi, mica sei nato predestinato come Letta o furbo come Renzi. Poi la delusione, la vittoria dimezzata che vale una sconfitta, Napolitano che ti nega la password per il governo, quella non resa che diventa un'ossessione, i pastrocchi per le elezioni al Quirinale, e accorgersi che ti hanno fatto cadere e il tuo treno è passato. E adesso stai lì, in sala operatoria, con i chirurghi di cui ti puoi fidare e la voglia di farcela, perché la lotta per vivere è più vera della politica. Questa volta la maggioranza degli italiani è tutta per te.
Anche chi non ti ha votato e non ti voterebbe mai. E comunque pensa che un avversario come te ci vuole, con quel tuo stare in bilico tra il passato e il presente, con quel vestito da vecchio comunista emiliano che non si è sentito perso quando il muro è caduto, forse perché il Dna di tuo padre ti porta a capire le paure e la fatica anche di chi vive di botteghe, officine e piccole imprese con una manciata di dipendenti. In questo in fondo meglio tu di Renzi. Tu certi discorsi li capisci per lessico familiare, lui perché vuole stare simpatico a tutti. E allora sì, un avversario così ci vuole, per riconoscersi perfino nelle differenze, perché sai di che pasta è fatto e non sei un avatar pixelato con i caratteri e l'identità di chi quel giorno è il miglior offerente. Quelli come Bersani quando li guardi in faccia sai cosa sono e cosa pensano. Ma anche questo alla fine non è importante. Non stiamo mica qui a pettinar le bambole. È che soprattutto da avversari che bisogna tifare per l'uomo, per la sua vita, e riconoscersi. In questo tempo di social network dove ogni pietà s'è persa. In bocca al lupo smacchiatore, perfino i giaguari pregano per te.

di Vittorio Macioce

Commenti