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La procura di Napoli ci riprova dopo il flop: vuole il Cav alla sbarra

Chiesto il processo per la presunta compravendita di senatori. Eppure a marzo il gip aveva negato il giudizio immediato

La procura di Napoli ci riprova dopo il flop: vuole il Cav alla sbarra

L a procura di Napoli bussa sempre due volte. Puntualissima, dopo la condanna d'appello sui diritti Mediaset a Milano, arriva la richiesta di rinvio a giudizio per Silvio Berlusconi sulla presunta compravendita dei senatori durante il Governo Prodi. Pista già battuta (invano) dallo stesso ufficio nel 2008 e naufragata dopo il trasferimento per competenza degli atti a Roma, eppoi nuovamente bocciata dal gip Cimma nell'edizione riveduta e aggiornata sulla richiesta di giudizio immediato.

Il Cavaliere è accusato di aver corrotto l'ex senatore dipietrista Sergio De Gregorio, tramite l'immancabile Valter Lavitola, al fine di boicottare l'esecutivo del Professore offrendogli due milioni in nero e uno regolarmente registrato alla Camera come contributo elettorale a favore del movimento «Italiani nel mondo». Un non senso quei due milioni di «nero» difronte alla possibilità di dichiarare tutto, e non solo un milione, in chiaro. Tant'è. L'intero procedimento si fonda sulle testimonianze dello stesso sedicente corrotto, che ha deciso di parlare dopo essersi visto rifiutare un finanziamento per un suo film dalla società «Medusa». Testimonianze che però il gip Cimma ha recentemente bollato come generiche «in merito alle modalità e ai tempi dell'accordo». E questo perché De Gregorio è stato poco preciso nei ricordi. Nell'interrogatorio del 28 dicembre 2012 ha fatto riferimento al 2006, salvo poi rettificare e spostare la data all'anno successivo. Il gip non ha avuto remore a scrivere che «la prova circa l'esistenza di un accordo corruttivo è tutt'altro che evidente». Non foss'altro per il non trascurabile dettaglio che mai l'ex senatore campano (ai domiciliari per la truffa da 20 milioni sui contributi all'Avanti) ha associato i suoi voti contrari al Governo come controprestazione dei tre milioni di euro.

«ACCORDO SENZA PROVA»

De Gregorio, ha spiegato ai pm, votava in difformità dalla maggioranza per motivi ideologici e di calcolo elettorale. Tra l'altro, dei soldi in nero non c'è traccia. Chi glieli avrebbe materialmente consegnati, Valter Lavitola, coi pm è stato chiaro: è come cercare un ago in un pagliaio perché lui e De Gregorio, tra il '98 e il 2007, si sono scambiati milioni di euro provenienti dalla truffa dell'Avanti. E se anche fossero rintracciati, questi ipotetici due milioni «cash», per il gip potrebbero al più essere considerati al massimo una «forma di finanziamento illecito del partito» Insomma, tante parole, pochi fatti, e ancor meno prove di corruzione. Nemmeno la sfilata di vip in Procura è servita a qualcosa. Romano Prodi ha detto a Woodcock di ricordare solo «voci» (senza prove) su fantomatici tentativi di «traghettare senatori» dalla maggioranza all'opposizione.

SOLO «VOCI» DAL PD

Anna Finocchiaro ha riferito di due tentativi di avvicinamento (falliti) con gli ulivisti Randazzo e Rossi, senza aggiungere altro. Tonino Di Pietro, che avrebbe potuto invece sfoderare la «pistola fumante», non ricorda a chi l'ha data in custodia. Non sa dire a chi consegnò la cassetta registrata dal senatore IdV Giuseppe Caforio con una presunta offerta di De Gregorio (e non di Berlusconi) di passare col centrodestra in cambio di 5 milioni di euro. Ricorda di non averla ascoltata ma non sa «a chi materialmente la diedi e a chi diedi istruzioni per fare arrivare all'autorità giudiziaria la notizia di reato». E la tratta dei senatori? Un mezzo flop. «Ricordo e ribadisco che all'epoca diedi a tale vicenda un valore eminentemente politico».

IL «NO» DI VERDINI

E, proprio trattandosi di un'operazione politica, ha detto Sandro Bondi, è da «ricondurre alla mia responsabilità di coordinatore di Forza Italia e successivamente del Pdl», e non già a Berlusconi. Secondo indiscrezioni De Gregorio provò anche a tirare dentro Denis Verdini, col quale si vide in tre occasioni. In una di queste, nel confessare la sua paura di finire dentro insieme alla moglie, avrebbe prima chiesto «aiuto» al partito eppoi avrebbe battuto cassa in modo esagerato. La risposta secca, negativa, di Verdini, lo avrebbe portato a «minacciare» ritorsioni giudiziarie. Vero? Falso?

(ha collaborato Simone Di Meo)

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