Politica

Quante scuse per insabbiare le riforme

Renzi e Berlusconi si sono accordati rapidamente. Ma i professionisti della politica difendono lo status quo

Emiciclo
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Radio e televisioni, locali e nazionali; quotidiani piccoli, grandi e medi: tutti, ma proprio tutti discettano di legge elettorale, tranne gli elettori che di questa materia non capiscono niente né vogliono capirci perché non hanno tempo da perdere, essendo impegnati da mane a sera nella dura battaglia per la sopravvivenza. Inoltre sanno - ammaestrati dall'esperienza - che qualsiasi sistema elettorale produce all'incirca lo stesso effetto: il solito casino. Hanno provato il proporzionale puro (durato più di quaranta anni) in un periodo in cui vinceva sempre la Dc, e all'epoca si erano rassegnati ad avere dei governi stagionali, cioè di breve durata, cosicché la stabilità era un'illusione. Poi hanno sperimentato il cosiddetto maggioritario. Sembrava una soluzione ideale e, invece, scontentò specialmente i politici, gli stessi che lo avevano preteso, tant'è che passarono oltre, dandosi il Porcellum, dichiarato incostituzionale dopo anni di disonorevole servizio in sfavore della democrazia.

Di qui la necessità di un ulteriore cambiamento. Discussioni, dibattiti, buoni e cattivi propositi: risultato, zero. In Italia, se un provvedimento è urgente ci si guarda bene dall'approvarlo; si apre piuttosto un tavolo (il verbo aprire non c'entra, ma è in uso) e si dà il via a un serrato confronto fra le parti, anzi fra i partiti. Il che significa non combinare niente. Difatti, è dal 2008 che le menti riformatrici cercano di riformare la legge elettorale senza cavare un ragno dal buco, dal quale buco sono venute fuori esclusivamente beghe furibonde.

Se la Corte costituzionale, pur con grave ritardo, non avesse invalidato il Porcellum, saremmo ancora nella porcilaia. Ora, ci è arrivato addosso il rottamator scortese, divenuto segretario del Pd, nonostante fosse osteggiato dalle cariatidi rosse di Botteghe Oscure, che ha provocato un terremoto non appena insediatosi. Dapprima Matteo Renzi ha tentato di sentire Beppe Grillo. Questi, però, non ha udito, dato che non c'è peggior sordo di chi non voglia sentire, di modo che il giovin signore si è rivolto obtorto collo al capo di Forza Italia, Silvio Berlusconi, il quale, decaduto o non decaduto, è in possesso di una valanga di voti, i soli che contano nel momento in cui si tratta di trasformare una proposta in legge.

Renzi e Berlusconi si sono accordati rapidamente sul sistema elettorale sostitutivo del Porcello; la pratica sembrava ben avviata e destinata a concludersi in fretta. Manco per niente. Gli avversari - più o meno dichiarati - del sindaco di Firenze e del Cavaliere, si sono innervositi e, anziché applaudire, hanno fischiato. Come si permettono questi due arrogantissimi decisionisti di fare in due ore quanto noi non siamo riusciti a fare in un lustro, forse di più?

La spiegazione della guerra in atto è semplice: i professionisti della politica non tollerano che qualcuno si sostituisca a loro, maestri nell'arte di tirarla per le lunghe, e dimostri che sia possibile avanzare di qualche centimetro sulla strada delle riforme. Nella speranza di imprimere un rallentamento all'iter, che giustifichi la propria esistenza, essi si sono inventati un pretesto per imporre una pausa di riflessione ovvero una paralisi dei lavori. Il pretesto si chiama «preferenze».

I conservatori dello status quo rimproverano Renzi e Berlusconi di non aver recuperato dalle caverne della prima Repubblica il diritto dei cittadini a scrivere sulle schede elettorali il nome di coloro cui desiderano dare il voto. Ma dimenticano un particolare: le preferenze furono abolite una ventina di anni orsono a furor di popolo, cioè con un referendum, pensato e presentato da Mariotto Segni, che ottenne una maggioranza straripante di suffragi. Siamo al ridicolo: c'è chi, pur di bloccare lo svecchiamento delle regole, rimpiange le norme del passato, di cui ci eravamo liberati con sollievo, e ne invoca il ripristino.

Giova rammentare alcuni dettagli. Le preferenze furono cancellate perché ritenute fonte inesauribile di corruzione attraverso il canale truffaldino del voto di scambio: io ti do il suffragio, caro aspirante onorevole o senatore, e tu dai a me un posto alle ferrovie (è solo un esempio). Le varie mafie italiote erano specialiste in questo genere di baratto.

Non è finita: in quale altro Paese europeo vige la schifezza delle preferenze? E allora di che stiamo parlando? È pur vero che le preferenze sono previste nella elezione dei sindaci e in genere dei responsabili degli enti locali. Ma c'è un perché. A livello territoriale i personaggi in lista sono conosciuti, si suppone, mentre a livello nazionale molto meno. È altresì chiaro che il potere centrale è più influente di quello periferico, in particolare a fini clientelari. Ma al di là di tutto, un fatto è incontestabile. Non è ancora stato concepito, in democrazia, un sistema che garantisca una completa rappresentanza. E, comunque, le persone che entrano in qualsiasi lista sono in ogni caso scelte dai partiti, dalle segreterie, quindi il problema delle preferenze è un falso problema.

È un modo per insabbiare.

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