Politica

Quanto veleno se la poltrona va a chi non è laureato

Uno su quattro degli incaricati da Renzi non ha il titolo di dottore, ma neanche Marconi ce l'aveva e ha cambiato il mondo. Conta solo il lavoro che sapranno fare

Quanto veleno se la poltrona va a chi non è laureato

Tradizione rispettata. Anche questo governo, fortemente voluto da Matteo Renzi detto Fenomeno, pur non avendo ancora mosso un dito, è già stato subissato di fischi per vari motivi, uno soprattutto: è colpevole di essere nato. Succede così da sempre. Seguo da cronista la politica da mezzo secolo e non mi è mai capitato di udire elogi unanimi diretti a un neopremier o ai neoministri. Perfino Alcide De Gasperi fu salutato con sospetto. Con l'andare del tempo divenne antipatico addirittura agli amici del suo partito, la Dc, i quali brigarono per rispedirlo in Trentino affinché cedesse il posto a giovani (si fa per dire) rampanti. Missione compiuta. Una volta morto, lo statista fu elevato agli altari. Oggi chiunque loda le sue opere.
Dubito che Renzi sia la reincarnazione di De Gasperi, però non me la sento di definirlo sciocco il primo giorno di scuola. C'è chi invece si è già scagliato contro di lui e la sua squadra. Lo biasimano perché dice una cosa e ne fa un'altra, tradendo il desiderio di entrare a Palazzo Chigi anche a costo di piegarsi alle pretese delle segreterie e agli ordini del Colle, come se fosse facile ignorare le prime e i secondi.
Sui nomi dei prescelti dal presidente del Consiglio si è aperta una gara a chi li bastona di più. Un esercizio abbastanza semplice. È sufficiente consultare il dizionario dei sinonimi per trovare epiteti originali con cui deridere i fortunati vincitori delle cadreghe ministeriali: otto uomini e otto donne, in omaggio alla moda delle pari opportunità. Molti responsabili di dicastero sono volti nuovi, altri meno: in linea di massima, comunque, gente sconosciuta o semisconosciuta al grande pubblico. Pertanto chi fa il mio mestiere ha indagato in fretta e furia per rintracciare qualche dettaglio biografico degno di nota e idoneo a imbastire articoli pepati su questo o su quel personaggio. Cosicché alcune penne intinte nel veleno hanno raccontato che un quarto dei 16 componenti della compagine governativa è privo di laurea.
Ecco l'elenco: Beatrice Lorenzin (Sanità), Maurizio Martina (Politiche agricole), Andrea Orlando (Giustizia) e Giuliano Poletti (Lavoro e welfare). In che cosa consista lo scandalo non è chiaro. Tuttavia il tono con cui si scrive sul conto di costoro è sfottitorio. Come dire: che aspettarsi da politici che non hanno neppure concluso gli studi universitari? E si sorvola sul fatto innegabile che è più importante aver imparato a stare al mondo che non aver conseguito un diploma al massimo livello accademico. Ma, quando si tratta di prendere in giro una persona assurta ad alte responsabilità, è comodo sbattergli in faccia la patente di ignorante: non comporta nemmeno lo sforzo di verificare se ciò corrisponda a realtà.
Può darsi che un signore e una signora privi di laurea siano impreparati a gestire un ministero, ma può anche essere che un laureato non sia in grado di mandare avanti un negozio di frutta e verdura. La storia ci insegna che un alto numero di autodidatti è stato premiato con il Nobel non certo perché abbia conseguito brillantemente titoli di studio, bensì per meriti legati ad attività professionali egregiamente svolte.
Lo abbiamo ricordato spesso, ma giova rammentarlo ancora: a parte Luigi Pirandello, tutti gli altri Nobel italiani per la letteratura - Grazia Deledda, Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale - non erano laureati. Non citiamo Dario Fo per decenza. Segnaliamo inoltre che Benedetto Croce e Gabriele D'Annunzio l'università la videro col binocolo. E Guglielmo Marconi? Mai frequentato corsi scolastici superiori con regolarità. Ciononostante, egli è lo scienziato che ha segnato una svolta nella storia dell'umanità con un'invenzione da lasciar senza fiato. Con questo non stiamo sostenendo che i quattro rimorchiati da Renzi, benché sprovvisti di titoli, siano dei geni apparecchiati per risolvere i problemi del Paese, tutt'altro. Ma siamo convinti che il loro rendimento al tavolo dell'esecutivo non dipenderà dalle pergamene (che non hanno) ma dalle capacità che ci auguriamo abbiano.
Nei casi della Lorenzin e di Orlando sarebbe lecito azzardare un giudizio, poiché entrambi non sono esordienti nel ruolo di ministri. Ma ci zittiamo per prudenza, essendo consapevoli che con un capo diverso da Enrico Letta, cioè Renzi, essi potrebbero fare meglio del peggio combinato nella precedente esperienza. È solo un auspicio.
Intendiamo sottolineare che polemizzare sulle lauree in mancanza di argomenti più seri è una manifestazione di meschinità. Lo è tantopiù in un momento, quale il presente, caratterizzato dalla crescente disoccupazione giovanile, particolarmente accentuata fra i laureati.

Dal che si evince che conviene saper esercitare un mestiere ben retribuito che non farsi chiamare dottore gratis.

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