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Quel complotto europeo per far cadere Berlusconi

L'allora premier pagò molto cara la resistenza a entrare nel "fondo salva Stati"

Quel complotto europeo per far cadere Berlusconi

Le Bugie e verità di Giulio Tremonti aggiungono nuovi elementi alla ricostruzione dei mesi che portarono alla caduta del governo Berlusconi. L'ex ministro lo chiama un «dolce colpo di stato». I suoi racconti completano le testimonianze raccolte dal giornalista Alan Friedman nel libro Ammazziamo il gattopardo. «Oggi viene presentato come un successo il fatto che lo spread sia tornato ai livelli del luglio 2011», sottolinea Tremonti: vuol dire che allora le cose non andavano poi così male.

Le date-chiave del complotto sono tre. Il 21 luglio si riunisce il Consiglio dell'Ue che accoglie «con favore il pacchetto di misure di bilancio recentemente presentato dal governo italiano». «Monsieur Trichet - ricorda Tremonti - se ne restò zitto e buono». Il 4 agosto, alla conferenza stampa mensile della Bce, Trichet rispose «Non ho da fare commenti» al giornalista che gli faceva notare gli acquisti di titoli portoghesi e irlandesi e non italiani. Il giorno dopo, 5 agosto, si scatena la bufera con la lettera firmata Trichet-Draghi che dettò all'Italia misure draconiane. «Un ricatto - taglia corto l'ex ministro - un onere imposto nella forma del diktat e in violazione delle regole europee che prevedono l'indipendenza della Bce dai governi europei, e dei governi dalla Bce».

Le conseguenze furono quelle che conosciamo: «Una restrizione di bilancio imposta a un'economia già in rallentamento è un gravissimo errore di politica economica. Subito dopo la Bce ha inondato di liquidità il sistema finanziario e bancario»: tutto il sistema era al collasso, indipendentemente dall'Italia. Nel frattempo un gruppo di banchieri, politici e finanzieri (Bazoli, De Benedetti, Prodi, Passera, Monti, Caloia) si era riunito a Milano per pianificare il dopo-Berlusconi.
Nei mesi seguenti Berlusconi fece trapelare la possibilità di uscire dall'euro. Lorenzo Bini Smaghi, membro del Comitato esecutivo della Bce fino al fatidico novembre 2011, così scrive nel libro Morire d'austerità: «Non è un caso che le dimissioni del primo ministro greco Papandreou siano avvenute pochi giorni dopo il suo annuncio di tenere un referendum sull'euro, e che quelle di Berlusconi siano anch'esse avvenute dopo che l'ipotesi di uscita dall'euro era stata ventilata in colloqui privati con i governi degli altri Paesi dell'euro».

Secondo Tremonti ciò che spaventò veramente le cancellerie europee era la netta resistenza italiana a entrare nel Fondo salva-Stati. Lui e Berlusconi chiedevano «di calcolare il contributo di ogni Paese al nuovo fondo di salvataggio non in base alla percentuale di partecipazione al capitale della Bce (18 per cento per l'Italia), ma in percentuale rispetto all'effettivo grado di esposizione al rischio estero». Che per l'Italia non superava il 5 per cento. I Paesi più esposti, Francia e Germania in testa, scaricavano su di noi i loro rischi. Al G20 di Cannes il 3-4 novembre Obama e la Merkel cercarono di imporre a Italia e Spagna gli aiuti del Fondo monetario internazionale a condizioni capestro. Tremonti cita il libro dell'allora premier iberico Zapatero, El dilema: «Nei corridoi si parlava di Mario Monti. C'era un ambiente estremamente critico verso il governo italiano. “Conosco modi migliori per suicidarsi” era la frase che Tremonti usava per resistere. Il catenaccio non lasciava spiragli. L'Italia non avrebbe ceduto». La spallata venne da un altro intervento speculativo sui Btp. «Tutto regolare dunque? Tutto pulito?», si chiede Tremonti.

Domande retoriche.

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