Politica

Quella sentenza su Di Pietro che il comico finge di ignorare

Le debolezze del leader Idv non sono una novità recente. Già nel '96 i giudici di Brescia accertarono i favori avuti da inquisiti e il denaro restituito prima di togliersi la toga

Adesso, dopo le inchieste, le dimissioni e la Gabanelli, tutti scoprono chi è davvero Antonio Di Pietro, che peraltro il Giornale ha sempre raccontato: quello dei valori immobiliari, del partito che non ha mai fatto un congresso, del finanziamento pubblico «personale» (per statuto notarile l'Idv appartiene a Tonino e quindi anche i contributi statali). L'equilibrato magistrato che si offrì di interrogare Silvio Berlusconi con queste parole: «Io quello lo sfascio».
L'uomo dei piccoli favori avuti da inquisiti, ritenuti privi di valenza penale sebbene accertati da varie sentenze giudiziarie. I 100 milioni di lire incassati, senza dover corrispondere interessi, dall'assicuratore inquisito Giancarlo Gorrini, successivamente restituiti con assegni circolari avvolti in carta di giornale prima di lasciare la magistratura. Altri 100 milioni sempre senza interessi e sempre da un imprenditore inquisito, Antonio D'Adamo, resi nel 1995 in una scatola da scarpe messa agli atti. Buste di contanti ancora da D'Adamo e centinaia di milioni da Gorrini, D'Adamo e Franco Maggiorelli per i debiti di gioco dell'amico Eleuterio Rea. Gorrini era in ottimi rapporti con Tonino benché fosse indagato per bancarotta fraudolenta e condannato per appropriazione indebita.
E poi le auto. Una Mercedes da 65 milioni avuta da Gorrini (rivenduta all'amico avvocato Giuseppe Lucibello) e ripagata con altri assegni circolari incassati poco prima delle dimissioni, e una Lancia Dedra per la moglie da D'Adamo. Le case. Una garçonnière dietro piazza Duomo messa a disposizione da D'Adamo e riconsegnata all'inizio del 1994 (che, ricordiamo, è l'anno delle dimissioni dalla magistratura); l'utilizzo per un anno e mezzo di una suite al Residence Mayfair di Roma, dietro via Veneto, pagata da D'Adamo medesimo; un appartamento acquistato a Curno con denaro avuto da Gorrini; un appartamento per il collaboratore Rocco Stragapede fornito da D'Adamo a canone gratuito.
I lavoretti per i familiari: per la moglie avvocato, le pratiche legali dalla Maa assicurazioni di Gorrini e le consulenze da D'Adamo; per il figlio, un doppio impiego alla Maa. E infine le piccole regalie: da D'Adamo abiti nelle boutique Tincati, Fimar e Hitman di Milano, telefonini, biglietti aerei Milano-Roma, un mobile-libreria; da Gorrini agende, penne, calze, ombrelli, passaggi su voli privati per battute di caccia.
Ricorre questa strana coincidenza: Tonino Di Pietro ha restituito gran parte dei soldi avuti in prestito da inquisiti alla vigilia del grande gesto di togliersi la toga in aula. Perché lasciò la magistratura? Anche questa risposta è stata messa per iscritto in alcune sentenze. Per esempio nei proscioglimenti decretati dai gup di Brescia Roberto Spanò e Anna Di Martino nei primi mesi del 1996. Quest'ultima, che doveva decidere sul rinvio a giudizio di Di Pietro per le accuse di Gorrini, argomentò che l'ex magistrato sarebbe incorso in sanzioni disciplinari se non avesse lasciato l'ordine giudiziario.
Ma la sentenza più importante è quella del 29 gennaio 1997 depositata il 10 marzo successivo dal giudice Francesco Maddalo del tribunale di Milano; in questo processo Di Pietro (era parte lesa) non rispose alle domande del pubblico ministero né interpose appello al pari delle altre parti. Ecco alcuni passaggi dalle 192 pagine della sentenza del giudice Maddalo. Pagina 151: «È indubbio che i fatti raccontati da Gorrini si erano realmente verificati». Pagina 152: «Ne viene fuori un quadro negativo dell'immagine di Di Pietro (...) fatti specifici che oggettivamente potevano presentare connotati di indubbia rilevanza disciplinare». Pagina 167: «Decisiva appare l'intenzione di Di Pietro di intraprendere l'attività politica ovvero di ottenere incarichi pubblici di maggior rilievo». Pagina 177: «Il desiderio di lasciare l'incarico giudiziario nel momento di massima popolarità non poteva non essere funzionale e strumentale ad un successivo sfruttamento di questa popolarità, proprio in vista di quella progettata attività politica». Di Pietro non lasciò la toga per difendersi, come ha cercato di far credere (del resto i fascicoli a suo carico furono aperti successivamente) ma per fare politica.

L'Italia dei valori, mobiliari e immobiliari.

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