Politica

Quelli che ci sperano sempre da Prodi a D'Alema e Amato

I veti incrociati li escludono ma loro non mollano. Quanti delusi, come Violante e la Finocchiaro

Romano Prodi durante un suo intervento al Parlamento europeo
Romano Prodi durante un suo intervento al Parlamento europeo

Roma - Sono tanti i porporati laici che nel conclave per il Colle entrano Papa ma escono cardinali. E molti di essi restano con le porporate pive nel sacco. In primisRomano Prodi, il candidato di bandiera del Pd, che avrebbe potuto trovare il nullaosta di molti pentastellati. All'ex premier sarebbe piaciuto molto sedersi sulla prestigiosa poltrona del Quirinale ma secco e determinato è stato il niet del Pdl. A ruota i centristi di Scelta Civica che hanno sempre detto che al Colle ci vuole un nome condiviso. Stesso discorso per il candidato di bandiera del Movimento 5 Stelle, Stefano Rodotà. Anche l'ex garante per la privacy ambiva al Quirinale ma i suoi consensi sono sempre stati troppo sbilanciati a sinistra.

Per tutta la giornata di ieri in pole sono rimasti Massimo D'Alema e Giuliano Amato. E in fondo in fondo ci sperano pure oggi. Soltanto che il primo ha la strada sbarrata da gran parte del Pd che lo considera un rospo troppo grande da digerire. Più o meno lo stesso discorso per il secondo che, in più, ha trovato sulla sua strada molti scettici anche nelle file del Pdl e il no secco della Lega. Tra i due, i berlusconiani, continuano a preferire D'Alema. Pollice verso, e quindi delusione forte, anche per Luciano Violante: molti pidiellini lo consideravano l'uomo capace di pacificare il Paese spaccato tra berlusconismo e antiberlusconismo. Motivo per cui è partito il veto da parte dei piddini più sinistrorsi e manettari. Tra le file dei delusi anche Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte Costituzionale, sponsorizzato da grillini e sinistra ma finito in basso pure nelle «quirinarie» lanciate sul web.

Nella classifica lanciata via internet, sono arrivati prima di lui altri candidati, destinati a rimanere a bocca asciutta: Emma Bonino, l'eterna candidata in rosa su cui pesa il veto Oltretevere; Milena Gabanelli, la giornalista che s'è autorifiutata di correre dopo 24 ore di meditazioni; Anna Finocchiaro, la senatrice del Pd che piace solo al Pd; Anna Maria Cancellieri, attuale donna forte del Viminale, che convince soltanto i centristi di Scelta Civica. Tra gli attuali ministri un pensierino l'ha fatto anche il Guardasigilli Paola Severino, mal vista da gran parte del Pdl per l'atteggiamento ostile dimostrato durante le trattative sui provvedimenti di giustizia. Scornati pure Sabino Cassese, l'outsider giudice Costituzionale, lanciato soprattutto da Repubblica; e delusione anche per l'altro giudice costituzionale, Sergio Mattarella, padre della legge elettorale un po' maggioritaria e un po' proporzionale. Accanto a questi tutta una serie di papabili-fragili: nomi circolati un po' per colore un po' per partigianeria. Marcello Pera, Renato Schifani e Gianni Letta sarebbero stati perfetti ma solo per il Pdl; Mario Monti, dipinto come il salvatore della Patria, è stato via via abbandonato da tutti: prima dagli elettori e poi dalla grande stampa, nazionale ed estera; l'ex presidente del Cnel, Giuseppe De Rita, piaceva molto ma soltanto ai salotti chic; Pietro Grasso è stato in partita per davvero ma soltanto fino a quando non gli è piombata addosso la fatwa di Travaglio e del Fatto Quotidiano.

Per non parlare dei candidati macchietta tipo Dario Fo, Gino Strada e don Ciotti.

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