Politica

Quello che Travaglio non dice di Riina

Mi sembra che un ottantenne sottoposto al 41 bis possa più parlare che fare, e che ai suoi non si capisce bene chi possa, dopo vent'anni, dare soddisfazione

Quello che Travaglio non dice di Riina

«Oro colato» era il nome d'arte di un imprenditore, accusato di mafia, di San Mauro Castelverde, di cui si riconoscevano più della la bontà delle cose dette, la preziosità delle cose fatte. L'ottimo Marco Travaglio ritiene «oro colato» le parole di Riina intercettato in carcere. Sarà. Ma mi sembra che un ottantenne sottoposto al 41 bis possa, al contrario di «oro colato», più parlare che fare, e che ai suoi malumori, alle sue invettive, ai suoi sfoghi, non si capisce bene chi possa, dopo vent'anni, dare soddisfazione.

È evidente che alcune cose possono essere utili, ma chissà perché sempre e soltanto quelle che riguardano le minacce a Nino Di Matteo. Non mi sembrano né le più interessanti né le più inquietanti. Che Di Matteo faccia «impazzire» Riina può allarmare e indurre a maggior prudenza, ma non può corrispondere alla certezza di una cospirazione o di un attentato.

Converrà, Travaglio, che perfino Riina ha diritto a sfogarsi, ma non per questo Di Matteo ad agitarsi, sentendosi nel mirino di una mafia che ha altri capi. Non è senza rilievo, infatti, che nelle intercettazioni Riina prende le distanze da Matteo Messina Denaro.

Osservo anche, per esperienza diretta, che nessuno pensò che Federico Zeri corresse rischi quando io dichiarai pubblicamente: «Lo voglio vedere morto!». Non basta, né a me libero, né a Riina in galera, una invettiva per trasformare i desideri in minacce o fatti. Ma io, perfino Travaglio converrà, non sono Riina. E lui resta molto più pericoloso, anche se controllato a vista.

Posso pensare che Travaglio abbia un particolare trasporto per Di Matteo, bello e aitante, ma non riesco a capire perché se Riina è credibile per quel che dice nelle intercettazioni su Di Matteo, non lo debba essere per quello che dice su Mancino e che, stranamente, il giornale di Travaglio non riporta. Proprio entrando nel merito della trattativa, Riina dice: «Ma che vogliono sperimentare che questo... Mancino tratta, trattò con me, così... loro vorrebbero, così vorrebbero, ma se questo non è avvenuto mai... questo!».

Se mette in discussione la trattativa non è più credibile? E perché tanta considerazione per Riina e nessuna considerazione per la Boccassini? La quale, a proposito delle dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino, denuncia le omissioni e gli errori dei pm rispetto alle sue dichiarazioni.

Appare grave, forse non a Travaglio che si fida di Riina, che della relazione Boccassini sulla inaffidabilità di Scarantino alla Procura di Caltanissetta non sia stata trovata traccia. E proprio sulla base del «sacco di fregnacce» del falso pentito, che Carmelo Petralia, Annamaria Palma e Nino Di Matteo, siano andati avanti nella direzione sbagliata.

Travaglio li direbbe, a ragion veduta, «acchiappa fantasmi». Ma la Boccassini è ancora più dura perché non accetta che si voglia scaricare sulle indagini della polizia l'errore del pubblico ministero, anche se amatissimo da Travaglio: «Il dominus dell'indagine resta sempre il pubblico ministero. Sono i pm che devono aver deciso di andare avanti con Scarantino. Non possiamo immaginare un paese dove un investigatore può far soccombere l'autorità giudiziaria. Se così fosse, sarebbe grave». Come la mettiamo, Travaglio?

Dunque, se anche per Riina, rispetto a Di Matteo, tra il dire e il fare, c'è di mezzo il mare, altro valore hanno le considerazioni su Matteo Messina Denaro, che indicano una ben precisa sfera di interessi della nuova mafia. Anche in questo Travaglio si comporta come i suoi amati magistrati, i quali, a partire da Alberto di Pisa, hanno dimenticato e ignorato le mie reiterate denunce, che hanno poi trovato, solo recentemente, conferma.

Abbagliato dalla «trattativa» gli interessa poco che Riina, in dialogo con Angelo Lo Russo, affermi, senza ragione di mentire o maramaldeggiare: «A me dispiace dirlo questo... questo signor Messina (Matteo Messina Denaro, ndr) questo che fa il latitante che fa questi pali eolici, i pali della luce, se la potrebbe mettere nel c... la luce. Ci farebbe più figura se la mettesse nel c... la luce e se lo illuminasse, ma per dire che questo si sente di comandare, si sente di fare luce dovunque, fa luce, fa pali per prendere soldi ma non si interessa...». Non è abbastanza eloquente? E perché nessun Travaglio e nessun magistrato ha mai scritto o pensato che io sia stato costretto a dimettermi da sindaco di Salemi con una strumentale indagine sulle infiltrazioni mafiose per impedirmi di continuare a denunciare, con non meno rischio di Di Matteo, gli affari della mafia nella finta energia pulita?

Non ce ne dà indiretta conferma l'affidabilissimo Riina, le cui minacce a Di Matteo sono credibili? E il resto? Il resto Travaglio non lo legge.

press@vittoriosgarbi.it

Commenti