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Richiesta choc: 12 anni di cella a Pollari

Richiesta choc: 12 anni di cella a Pollari

MilanoUn crimine contro l'umanità, messo in atto da una struttura parallela interna ai servizi segreti italiani che agiva come un'organizzazione criminale. Questo, per la Procura generale di Milano, fu il rapimento di Abu Omar, predicatore islamico con la passione per la jihad, che un commando della Cia caricò su un furgone nel febbraio di dieci anni fa, e spedì in Egitto a fare la sgradevole conoscenza degli sbirri di Mubarak. Che la Cia abbia - e con disarmante dilettantismo - eseguito il sequestro non ci piove, e gli uomini di Langley sono già stati condannati a pene che non sconteranno mai. Ma ora la Procura milanese chiede la condanna anche dei nostri 007. Che invece ieri erano in aula, e che se verranno condannati dovranno scontare la pena. Uno scenario senza precedenti, nelle decine di renditions che dopo le Torri gemelle gli americani hanno realizzato qua e là per il mondo. E che solo in Italia hanno visto la magistratura aprire una inchiesta che ha scavato in profondità nei rapporti tra i nostri servizi segreti e quelli del principale alleato.
Ieri Pietro de Petris, procuratore generale, chiede dodici anni di carcere per il generale Niccolò Pollari, ex direttore del Sismi; dieci anni per l'ex capo del controspionaggio Marco Mancini; otto anni per i tre agenti segreti accusati di avere materialmente aiutato la Cia, cercando (peraltro senza riuscirci) di scoprire le abitudini di Abu Omar. Per pronunciare la sua requisitoria, de Petris sfida il segreto di Stato che i governi Prodi e Berlusconi hanno imposto sulla vicenda, e che Mario Monti ha confermato. Ieri la presidenza del Consiglio fa arrivare in aula una lettera che anzi allarga l'area coperta dal segreto, dicendo per la prima volta che - qualunque cosa abbiano fatto gli 007 italiani - si tratta di atti «inquadrabili nel contesto delle attività istituzionali del Servizio di contrasto al terrorismo internazionale di matrice islamica». Ma de Petris legge ugualmente, in udienza pubblica, gli atti che il governo ha segretato. Il presidente della Corte, Luigi Martino, non lo interrompe. Si pongono, insomma, le condizioni per un nuovo scontro tra magistratura e politica intorno al delicato rapporto tra la sicurezza nazionale e il dovere della magistratura a perseguire i delitti.
È uno scontro che la Corte Costituzionale sembrava avere già risolto a suo tempo, dando ragione a Palazzo Chigi e dicendo - in sostanza - che la sopravvivenza della nazione viene prima di tutto. A seguito di quella decisione, gli 007 italiani erano stati assolti in primo e secondo grado. Ma la Cassazione ha reinterpretato la decisione a suo modo, annullando i proscioglimenti di Pollari e dei suoi, e ordinando un processo bis che sembra marciare spedito verso una condanna esemplare.
«Siamo di fronte a un codice comportamentale che molti di noi hanno potuto visitare in riferimento ad altri ambiti criminali», dice de Petris per descrivere i rapporti tra la Cia e gli 007 imputati. A operare a fianco degli americani non fu il Sismi in quanto tale - secondo il procuratore generale - ma «una struttura parallela», d'altronde «la storia del nostro Paese trasuda di questi comportamenti». I rapporti tra Cia e Sismi si mossero su «un binario parallelo assai opaco», che portò Mancini e il suo staff a effettuare i sopralluoghi chiesti dagli americani. E tanto basta, dice l'accusa, per renderli complici del sequestro.
A tutti gli imputati la Corte ha rifiutato di portare nuovi elementi a loro difesa. Né a Pollari, che sostiene di avere ottantotto documenti, compresi audio e video che dimostrano la sua estraneità; né a Mancini e ai suoi colleghi, che chiedevano di interrogare in aula Mario Monti, e chiedere a lui cosa ha scoperto la recente indagine interna dei «servizi». L'indagine si dice che avrebbe accertato che se qualcuno fece da sponda agli americani fu un'altra sezione del Sismi, la Divisione operazioni, e non il controspionaggio. Ma per questa verità alternativa - che pure sembrava emergere da alcuni atti delle indagini preliminari - nel processo non c'è posto.


Ma a questo punto la palla passa al governo: che potrebbe decidere di ricorrere nuovamente alla Corte Costituzionale.

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