Politica

«Se gli 80 euro non arrivano chiamatemi pure buffone»

Il magico mondo di Matteo Renzi va in onda in seconda serata - Porta a porta, manco a dirlo - e durerà fino al 2018, come promette Lui medesimo di persona. Entra di prepotenza nelle case con i suoi numeri che pencolano felici tra «Mulino bianco» e Draghi (Bce), disegna scenari e orizzonti che trovano nello «straordinario» l'aggettivo più usato e seducente; un mondo nel quale la Pubblica amministrazione diventerà «all'avanguardia», l'Europa ci guarderà ammirata perché «abbiamo fatto i compiti, siamo autorevoli» e deciderà di «avere più bisogno lei di noi di quanto abbiamo bisogno noi di lei, come già mi disse la Merkel».
Il «Matteo New Deal» sgambetta gioioso con le sue massime tratte da Walt Disney e le sue battute fulminanti davanti a un Bruno Vespa intorpidito e via via sempre più intortato (come chiunque), anzi persino spodestato dal ruolo di conduttore. «Facciamo il cartello successivo, qui ci vuole l'applauso, no così non si capisce da casa». Fino a quando il numero uno dei talk show avrà un moto dimissionario («se volete torno subito»), quando si parla di corda in casa dell'impiccato, ovvero del mai realizzato motto: «fuori i partiti dalla Rai». Ma gli andrà peggio se Renzi manterrà la promessa di restituire i crediti alle imprese entro il 21 settembre, «giorno di San Matteo»: pellegrinaggio a piedi al Monte Senario, poco fuori Firenze. «T'ho fregato», celierà il Mostro.
Il premier parte con fraseggi a centrocampo, e talvolta scade nel manierismo. Non ama i numeri precisi, si vede, e quando l'(ex) conduttore tenta di stringerlo nell'angolo, tira subito la coperta (la copertura) dove meglio gli aggrada. È sicuro che i soldi ci saranno, Renzi. Lo ripete dall'inizio alla fine della puntata e scommette: «Se no sono un buffone». Ammette che molte delle cose dette rispondono «anche a un'operazione di marketing» e offre copertura anche a Padoan che non protesta: «Se non funziona sarà solo colpa mia». Altri sprazzi di gioco brioso fanno ben sperare. Anche se la sòla resta sempre in agguato, come quando rivela che «i veri fuochi d'artificio che ho in mente non li ho tirati ancora fuori, Delrio me l'ha impedito... D'altronde a Palazzo Chigi ormai sono agli arresti domiciliari, decidono tutto loro».
Delle misure economiche, poco di nuovo rispetto alla conferenza stampa dell'altro ieri. Se non l'irritazione trapelata sul documento della Bce, che «risale al 2 marzo». Renzi ribadisce che i Bot non saranno tassati, che la mini-patrimoniale sulle rendite azionarie è tollerabile se i ricavi vanno a ridurre l'Irap che strangola le aziende: «Tolgo a chi ha una rendita e la dò a chi crea posti di lavoro», la brillante sintesi. Esclude categoricamente qualsiasi contributo dai pensionati (esclusi, però, dal «bonus degli 80 euro»). Ribadisce l'abolizione delle Province e del Senato, vuole che i parlamentari «lavorino sul serio», più che tagliargli la diaria; con mestiere evita di sbottonarsi sulle nomine. Pensa che la legge elettorale possa essere modificata un pochino in Senato, «se io Berlusconi e Alfano ci si guarderà negli occhi e si sarà d'accordo». Ma va chiusa entro le Europee e difesa a spada tratta («dire che è peggio del Porcellum significa aver mangiato male»). Così come l'accordo con Berlusconi: «È stato fondamentale, se no eravamo ancora fermi all'enpasse» (sic). Duro con i sindacati e con Letta («ora mi occupo degli italiani»), esce e pare fresco come una piuma. «Serata tosta», dice uscendo dal palazzo.

Questione di punti di vista.

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