Politica

Sparare su Mario è soltanto da ipocriti

Linciare un giocatore, accusandolo di alto tradimento della patria rotonda, è eccessivo, anche se serve

Sparare su Mario è soltanto da ipocriti

Lutto Nazionale. Gli azzurri sono diventati neri, neri come il loro capro espiatorio, Mario Balotelli, afrobresciano di talento e di tormento, cui si attribuisce la débâcle dei nostri al mondiale brasilero. Colpa sua perché ha sbagliato un gol contro la Costa Rica e perché, povero figlio, non ha toccato palla durante i 45 minuti da lui giocati nell'incontro con l'Uruguay, da sempre fonte di guai (la rima è voluta anche se scema).

Non c'è compatriota che oggi, a funerale appena celebrato, non vorrebbe esporre le spoglie del fusto di pelle scura in un metaforico piazzale Loreto. Si sa che le vittorie hanno tanti padri, mentre le sconfitte sono orfane. Ma in questo caso cronisti e tifosi hanno identificato in Balotelli il responsabile della catastrofe calcistica. E qui devo citare ancora una volta Winston Churchill: gli italiani perdono le partite come fossero guerre e perdono le guerre come fossero partite. Il defunto politico inglese aveva già capito tutto oltre mezzo secolo fa, e alla sua disamina c'è poco da aggiungere.

Uscire malamente da un torneo di pallone al massimo livello è scocciante. Ma linciare un puntero, accusandolo di alto tradimento della patria rotonda, mi sembra eccessivo, anche se serve dal punto di vista utilitaristico: puniscine uno per assolvere gli altri. Funziona ed evita il fastidio di analizzare la questione e di eseguire troppe sentenze «capitali». Fra i numerosi commenti che ho letto (a parte quello di Giuseppe De Bellis: «Fuori per giusta causa») l'articolo più bello l'ha scritto Gianni Mura sulla Repubblica, il quale sostiene che ogni botte dà il vino che contiene. E la botte pedatoria in questo momento è inquinata da vari elementi tossici. Aggiungo soltanto che l'immagine della nostra squadra umiliata sul campo, incapace di reagire, gambe molli e testa nelle nuvole, non rivela soltanto lo status attuale della nazionale impoverita da mille errori gestionali, ma è anche - in sintesi - la radiografia del Belpaese sofferente in ogni settore, da quello politico a quello economico.

Il declino del football domestico non è attribuibile a una maledizione divina, al pressappochismo degli arbitri e alle bizzarrie isteriche di Balotelli. Figuriamoci. Esso è complementare dello sfacelo complessivo della penisola, dove ormai non c'è nulla che giri per il verso giusto: la scuola è stata ridotta ad ammortizzatore sociale, cattedre e banchi sono occupati da gente senza speranza, il sistema industriale è stato demolito da una mentalità anticapitalistica e antiliberale, l'impianto istituzionale è vecchio come il cucco e non consente la governabilità, la giustizia è ciò che è a causa dell'insipienza di chi avrebbe l'obbligo di riformarla, il lavoro è una chimera e la voglia di lavorare, in assenza di stimoli, è pari alla diminuita offerta di posti.
Un dramma addolcito dalla retorica imperante nei palazzi del potere: bisogna avere fiducia nella ripresa, fiducia nell'Europa, fiducia in Matteo Renzi, fiducia, fiducia, fiducia. Alla miseria dominante fa da contraltare l'abbondanza delle parole, sempre le stesse, banali, insopportabili. Meno di una settimana fa, il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha distribuito a piene mani dosi massicce di oro colato: «Bisogna urgentemente tagliare le tasse e la spesa pubblica». Però, che ideona. Nuova soprattutto.

Ora, mi capite, cari lettori, davanti a uno spettacolo simile, a dichiarazioni ormai entrate di prepotenza nel recinto dei luoghi comuni, cascano le braccia e non solo quelle. Ci si deprime. Da venti anni chi sta lassù, in alto, dice e ripete: abbassare le tasse e comprimere la spesa pubblica. Venti anni di balle e mai un fatto concreto. Per cui in un Paese arrancante e che rende perpetui i propri vizi - tra cui l'accidia e la pavidità - è da ingenui confidare in una équipe calcistica per riscattarsi dalla sciatteria, divenuta denominatore comune nazionale. Pertanto scagliarsi contro Brandelli (pardon, Prandelli) Balotelli, Cassano e Immobile perché la nostra rappresentativa si è dimostrata, nel peggio, degna dell'Italia è una scorrettezza di cui vergognarsi.

Tra l'altro questo sport popolarissimo è stato bistrattato. La vecchia organizzazione padronale del pallone è stata trasformata in un circo di società per azioni con fine di lucro, quando i presidenti non hanno guadagnato mai il becco di un quattrino e quasi tutti ci hanno rimesso fior di milioni. Le leggi europee permettono di importare atleti da ogni angolo, anche il più recondito del mondo. Le formazioni sono imbottite di stranieri, tra cui una folla di brocchi. Cosicché i cosiddetti settori giovanili non sfornano più campioni, e quei pochi buoni non vengono impiegati oppure ceduti all'estero: vedi Verratti, Rossi e lo stesso Immobile. Il serbatoio delle promesse è al lumicino, quello dei chiodi è ricchissimo.
Conciati così dove vogliamo andare se non verso lo sfascio di cui abbiamo avuto un anticipo in Brasile, soccombendo all'Uruguay nel modo che sappiamo? Per queste ragioni, benché non ci sia simpatico, siamo solidali con Balotelli quando afferma che «gli africani non avrebbero mai scaricato un loro fratello. In questo, noi negri, come ci chiamate voi, siamo anni luce avanti». L'Italia ha perso ed è stata eliminata perché è mediocre quanto coloro che la guidano. Balotelli non c'entra. È uno come gli altri, e si è adeguato all'andazzo generale. Non è un fenomeno, ma un italianuccio.

Identico a noi.

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