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Ritirata tattica del ministro Riccardi

Il titolare della Cooperazione rinuncia alla "salita in campo". I numeri in picchiata suggeriscono il ritorno a Sant'Egidio

Ritirata tattica del ministro Riccardi

Avranno pesato i sondaggi, non proprio rosei rispetto alle previsioni di qualche settimana fa. Anzi, in picchiata perché il centro vale, secondo gli esperti, non più del 15%, lontanissimo da centrosinistra e centrodestra. E allora Andrea Riccardi ha deciso di sfilarsi dalla bagarre elettorale: «Io penso di restare nella società civile e di non candidarmi», ha spiegato ieri a Maria Latella che lo intervistava su SkyTg24. Certo, terminata l'esperienza di governo meglio tornare a tempo pieno alla Comunità di Sant'Egidio, la potentissima organizzazione non a caso chiamata «l'Onu di Trastevere». Più interessante la diplomazia parallela di Sant'Egidio, benedetta dai grandi giornali e in linea con la tradizione cattolico democratica e progressista dei salotti del nostro establishment.

Riccardi, da ministro della Cooperazione, ha tentato qua e là di dare un imprinting solidarista al freddo governo tecnico. Ha tenuto convegni inneggiando agli stranieri, catalogati sempre come «risorsa» per il Paese e rammaricandosi perché molti immigrati spinti dalla crisi hanno ripreso la strada di casa o quella di altre economie più floride. E ha ipotizzato, prefigurando un decreto, una sorta di sanatoria che secondo la Lega e il Pdl avrebbe aperto le porte a centinaia di migliaia di clandestini.

Silvio Berlusconi quando era a Palazzo Chigi aveva un suo rappresentante personale per l'Africa, Alberto Michelini, Monti no, Monti badava soprattutto allo spread e ai circoli più esclusivi di Francoforte e di Washington, ma nel suo esecutivo c'era lui, Riccardi, con la sua carica di pacifismo e di terzomondismo, accompagnati da un perfetto marketing. Per fare un esempio nel '92 la comunità romana giocò sì un ruolo decisivo per il raggiungimento della pace in Mozambico, ma una parte importante la ebbe pure il sottosegretario Mario Raffaelli che però stampa e tv ignorarono. I media tributarono la standing ovation solo all'ente romano, inventato da Riccardi insieme a Guido Paglia, oggi vescovo di Terni, e a Matteo Zuppi, attualmente vescovo ausiliare di Roma e pastore dei vip del centro storico.

Riccardi, che è anche professore di storia contemporanea a Roma Tre, è al centro di queste trame e non ha certo intenzione di andare a recitare la parte del peone in un Parlamento che si prefigura in mano alle truppe bersaniane. Molto meglio riprendere i fili - anche quelli dei tanti 007 in contatto con Sant'Egidio - della sua precedente vita e rimanere alla finestra, aspettando che Monti e Bersani trovino l'accordo.

«Io penso di restare nella società civile, di non candidarmi», spiega a Maria Latella. Poi aggiunge: «Credo che quella di Balduzzi sia una candidatura probabilissima e anche quella di Catania, ma non è che tutto il governo passi nelle liste». Mario Catania, titolare dell'Agricoltura, si presenterà con Casini, il suo collega della salute Renato Balduzzi, direttamente con Monti. Altri nomi, di peso, hanno invece fatto un passo indietro: Corrado Passera, che voleva una lista unica e non la tripartizione che sa di vecchio con Fini e Casini, si è fatto da parte; Paola Severino tornerà al suo studio di avvocato e Annamaria Cancellieri ha fatto sapere di non voler recitare due parti in commedia: da ministro dell'Interno gestirà le elezioni e dunque non sovrapporrà quel ruolo delicatissimo a quello di candidato. Lui pure resterà dietro le quinte, nella cabina di regia del partito montiano: «Valuteranno gli italiani - è la conclusione di Riccardi - se si tratta di un centrino, ma certo non sarà una nuova Dc». Anche perché a Sant'Egidio sono trasversali, ma con il cuore a sinistra.




I Paesi in cui si è diffusa la Comunità di Sant'Egidio, fondata nel 1968 dal ministro Andrea Riccardi

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