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Per le toghe Berlusconi è l'unico che "non poteva non sapere"

La formula usata per condannare l'ex premier non vale per gli altri politici. Da Bersani con Penati a Rutelli con Lusi passando per Di Pietro con Maruccio

Per le toghe Berlusconi è l'unico che "non poteva non sapere"

Qualcuno doveva «per forza» sempre sapere e qualcun altro poteva «tranquillamente» non sapere. È una curiosa filastrocca, quella che si sente oramai recitare spesso in certe aule di giustizia. Dove la giustizia naturalmente è uguale per tutti. Uno che per esempio deve, doveva, e, presumibilmente, dovrà sempre sapere «per forza» ciò che accade attorno a lui, anche se qualcosa accadesse a mille chilometri di distanza da lui medesimo, è il Cavaliere, il solito, predestinato, colpevole di tutte le malefatte di questo Paese, Silvio Berlusconi. Per contro, la lista di coloro che invece possono, potevano e, presumibilmente, potranno non sapere anche in futuro, è piuttosto lunga e quindi, per non trasformare l'edizione odierna del nostro Giornale in una sorta di dizionario, prenderemo giusto qualche lettera a caso dell'alfabeto dei personaggi politici per offrire solo qualche esempio significativo.

Vi ricordate Filippo Penati? Massì, certo, l'ex braccio destro di Pier Luigi Bersani ed ex vice presidente del Consiglio regionale lombardo. Quando rivestiva la carica di presidente della Provincia di Milano, Penati comprò a prezzi stratosferici le azioni della Serravalle dall'imprenditore Marcellino Gavio che sembra proprio che ricompensò a sua volta, il partito mettendo a disposizione 50 milioni di euro di plusvalenza per la scalata dell'Unipol alla Bnl. Affare non proprio chiarissimo di cui si è parlato discretamente sui giornali. Ma il leader del Pd, Pier Luigi Bersani, che pure non ha mai negato di aver messo Penati per un anno a capo della segreteria politica, si è affrettato solo e sempre a dire: «Io? Io non lo sapevo. Non ho mai saputo niente su che cosa faceva lassù in Lombardia». D'accordo, Penati non era il tesoriere dei democratici ma in questo caso i magistrati si sono sempre fidati della parola del Pier e del suo «non sapevo niente». «Occhio perché io querelo - ha persino detto via radio e sui giornali Bersani - perché sul mio rapporto con Penati sento fanfaluche incredibili».

Perché non credergli dunque?
E perché non credere ad un altro integerrimo come l'esterrefatto degli esterrefatti, Gianfranco Fini a proposito della sua estraneità alla ben nota vicenda della casa monegasca. Pensate che Gianfry, anche messo sotto pressione dal nostro quotidiano, anche inchiodato dall'evidenza ha sempre ripetuto: «La vendita dell'appartamento è avvenuta il 15 ottobre 2008 ma sulla natura giudica della società acquirente e i successivi trasferimenti non so assolutamente nulla. Qualche tempo dopo la vendita ho appreso da Elisabetta Tulliani che il fratello Giancarlo aveva in locazione l'appartamento. La mia sorpresa ed il mio disappunto possono essere facilmente intuite. Non sapevo che la casa di Montecarlo fosse stata ristrutturata e affittata a mio cognato». Buona fede, no?
E che dire delle dichiarazioni di Francesco Rutelli, sempre giudicate attendibili dalla Procura di Roma a proposito dell'attività di un suo discreto conoscente: Luigi Lusi, il suo ex tesoriere alla Margherita: «Le attività di Lusi sono state condotte solo per il suo tornaconto personale, al di fuori di ogni mandato, e a totale insaputa mia e del gruppo dirigente della Margherita». Una questioncella di appropriazione di 18-20 milioni di cui si può ben non sapere nulla. A maggior ragione se Lusi è sempre stato considerato un collaboratore fidatissimo di Rutelli tanto che è stato proprio lui ad affidargli le chiavi della tesoreria del partito e a insediarlo poi nella stanza dei bottoni del Partito democratico.

E il rigoroso Antonio Di Pietro? Si è beccato persino il tapiro dalla banda di Striscia la notizia per il candore di «uomo che non sapeva nulla». Già, perché è rimasto «sorpreso, stupito e sconcertato» nello scoprire che Vincenzo Maruccio, capogruppo dell'Idv al Consiglio regionale del Lazio e suo stretto collaboratore fosse indagato per peculato. All'esponente regionale dell'Idv, in particolare, sono stati contestati assegni, prelievi in contanti e bonifici non proprio trasparenti, Pensate che lo stesso Tonino ne aveva sponsorizzato la candidatura con grandi attestati di stima. Quindi la sua sorpresa è comprensibile.

Soprattutto quando allarga le braccia e dice: «Mi è dispiaciuto molto».

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