Cronache

Yara, inchiesta chiusa col flop Stavolta ha fallito anche il Dna

Centinaia gli interrogatori, ma gli inquirenti hanno soprattutto puntato su test genetici da record. L'indagine forse più costosa d'Italia va in archivio

Yara, inchiesta chiusa col flop Stavolta ha fallito anche il Dna

Due anni e tre mesi dopo, Yara resta un tragico ricordo. Pieno di misteri, rabbia, amarezza, frustrazione. Quella di non aver saputo trovare chi in una gelida sera di novembre la massacrò. Nessuna giustizia, nessun colpevole per la piccola ballerina di Brembate, 13 anni pronti a sbocciare in un tuffo nel fiore della vita, l'apparecchio ai denti, il corpo che cominciava a trasformarsi in quello di donna. Chi può dimenticare? I corsi della legge, le lentezze, i freni, con tempi che non sembrano oggi più adeguati a quelli degli uomini, però dicono, come avrebbe chiosatoa caustico Tortora a Portobello, «Big Ben ha detto stop». L'inchiesta è finita, l'indagine forse più dispendiosa nella storia d'Italia, ha fallito, intercettazioni, superesperti, 15mila campioni di Dna prelevati tra vallate e paeselli del Bergamasco non sono serviti a nulla. Hanno fallito polizia e carabinieri, un colonnello silurato e un questore mandato con piacere in pensione. Loro non hanno risolto il caso. Come la pm, Letizia Ruggeri, la signora che andava in vacanza nel pieno delle ricerche.
Due anni e tre mesi dopo la scomparsa di Yara Gambirasio da ieri si sono chiuse definitivamente le indagini. Archiviato il fascicolo contro ignoti aperto il 27 novembre 2010, il giorno successivo la scomparsa della ragazza. Oggi saranno due anni esatti dal ritrovamento del suo cadavere in un campo di sterpaglie a Chignolo d'Isola, liberato finalmente dalla neve caduta abbondante, e quasi complice, in quel maledetto inverno.

Cosa resta? Mohamed Fikri, il piastrellista del cantiere di Mapello- dove i cani «molecolari» fiutavano tracce- fermato qualche giorno dopo con un coup de théâtre mentre in nave tornava in Marocco, è stato prosciolto dall'accusa di omicidio. Ma non dai sospetti: adesso è indagato con l'ipotesi di favoreggiamento personale. Di chi il giudice non lo dice, ma insomma, l'idea è che sappia sul delitto più di quanto abbia raccontato.
Nel frattempo il gip che si occupa del caso è cambiato. Su quella poltrona siede da qualche giorno Patrizia Ingrascì, valuterà la richiesta di incidente probatorio presentata dal pubblico ministero sulla famosa telefonata fatta dall'operaio a un presunto creditore, e che secondo una prima traduzione suonava come «Allah, perdonami, non l'ho uccisa io», mentre invece traduzioni successive l'hanno interpretata come «Allah, fa che risponda».
Lui ha un alibi di ferro: quella notte lavorava sì nel cantiere, ma nell'orario in cui Yara spariva, si trovava a cena in trattoria con il suo datore di lavoro.
La sua avvocatessa si dice convinta che anche questa accusa finirà in archivio «perché non è mai emerso alcun elemento che lasci ipotizzare il favoreggiamento né ve ne sono ora, altrimenti il pm avrebbe chiesto il rinvio a giudizio almeno per questo reato».

L'inchiesta, tuttavia, in qualche modo appiccicata all'ultimo esile filo di speranza, ancora per un po' andrà avanti. Da oggi in poi non varranno più nuovi interrogatori o altri test di Dna, frattaglie di prove o testimoni dell'ultimo secondo. E l'ultima speranza si culla nel profilo genetico della salma di Giuseppe Guerinoni, l'autista di Gorno morto nel 1999. E che secondo gli inquirenti potrebbe essere il padre naturale dell'assassino di Yara.

Un ragazzo nato da un rapporto clandestino e che forse neppure lui aveva mai conosciuto.

Commenti