«Io, preside, mi ribello alla legge e tengo tutti gli stranieri in classe»

Il tempo delle iscrizioni a scuola quest’anno è scandito da un problema in più: far quadrare i conti degli alunni, formare classi omogenee fra gli iscritti italiani e quelli immigrati. Il ministro Mariastella Gelmini ha fissato un tetto: 30% di stranieri in ogni classe. Ma a poche settimane dal termine delle iscrizioni, c’è chi ha già alzato bandiera bianca: «Impossibile rispettarlo». È il caso della scuola elementare di via dei Narcisi a Milano, zona Lorenteggio, quartiere periferico a forte densità immigrata. Qui la situazione è già chiara: 124 bambini in lista per la prima elementare, di questi, 62 sono di nazionalità straniera. Non è un fulmine a ciel sereno per Chiara Conti, dirigente scolastica abituata da anni a fare i calcoli con una presenza di alunni immigrati che si aggira attorno al 60%. Ma da quest’anno il problema c’è e si chiama «tetto del 30% degli alunni immigrati».
Professoressa come pensa di risolvere la questione del 30%?
«Chiederò al direttore scolastico regionale Giuseppe Colosio una deroga per la mia scuola. Con i criteri che ci sono stati indicati, il nostro istituto non potrà mai ottemperare al tetto previsto dal decreto Gelmini».
Perché?
«Perché il nostro bacino d’utenza è questo. La scuola elementare di via dei Narcisi è al Lorenteggio, un quartiere che negli ultimi anni è diventato meta abitativa di molti extracomunitari. Le iscrizioni a scuola, dove sei bambini su dieci sono stranieri, rispecchiano la realtà del quartiere».
I suoi neo iscritti comprendono già il 50% di bambini stranieri, lei è ormai oltre la soglia. Non ha comunicato ai genitori che c’è il rischio che i loro figli debbano cambiare istituto?
«Non l’ho fatto. Se non altro perché io devo chiudere le iscrizioni per sapere se effettivamente sarà superato o meno il 30%. Avrei dovuto accogliere le iscrizioni con riserva. Ma francamente è un’operazione impossibile. È comprensibile che un genitore nella stragrande maggioranza dei casi scelga la scuola più vicina a casa. Non solo: per ogni bambino straniero che io non dovessi accettare, dovrebbe essercene uno italiano che entra al suo posto. Qualcuno mi deve dire come facciamo noi presidi a gestire situazioni di questo genere. Non si tratta di pura aritmetica. C’è dell’altro».
I genitori non accettano di essere trasferiti?
«Come faccio a imporre a una famiglia una scuola a due chilometri di distanza invece che quella davanti a casa? Mi chiedono il pulmino e naturalmente non è previsto. Poi ci sono tutti i problemi legati alle situazioni particolari».
Per esempio?
«Nella circolare si dice che non devono essere considerati come stranieri i bambini con cittadinanza italiana. Nel mio plesso l’80% di questi alunni è nato in Italia, ma non ha la cittadinanza. Quindi come lo considero? Non solo. Ci sono quelli che magari non sono nati qua, ma frequentano le nostre scuole sin da quella dell’Infanzia e dunque conoscono bene la lingua italiana. Loro da che parte stanno dentro o fuori la somma del 30%?».
Quindi lei ha accettato tutte le iscrizioni come ha fatto gli anni scorsi?
«Sì, noi d’accordo con il consiglio d’Istituto abbiamo accettato tutte le iscrizioni. Con la clausola che per la nostra scuola chiederemo una deroga al direttore Giuseppe Colosio».
Ma non crede che così facendo creerà delle classi ghetto?
«Senta, gestisco tre elementari e quella dove gli alunni sono più motivati è, guarda caso, quella di via dei Narcisi.

L’esperienza di questi anni mi ha insegnato che la scuola per gli immigrati arrivati in Italia ha molto valore, è un investimento per i loro figli, il lasciapassare per il loro futuro. Non la danno per scontata e spesso ci mettono tutto il loro impegno».

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