Cultura e Spettacoli

L’Italia de noantri, pigra e tamarra. Eppur c’è speranza

Cazzullo ritrae un Paese che non ha voglia di faticare. E provoca: "Ormai siamo diventati tutti meridionali"

Leggere L’Italia de noantri. Come siamo diventati tutti meridionali (Mondadori, pagg. 176, euro 18) di Aldo Cazzullo è come immergersi in un racconto dell’Italia quale lo avrebbe fatto oggi Giovannino Guareschi. Lui girava la Bassa in moto, Gilera o Guzzi non ricordo, scendeva a Roma in Cinquecento, come nel Corrierino delle Famiglie, e aveva i baffi. Aldo Cazzullo circola per Roma con lo scooter, poi si imbarca su un Frecciarossa verso Milano, e ha la testa liscia come una boccia. Lo sguardo però ha la stessa curiosità di Giovannino quando entra in un bar, ordina un panino, incontra un parroco; e non pretende di essere una tabula rasa, poiché si porta dietro la memoria di dov’è nato, il nonno, il paese.

Beninteso: un Guareschi non proprio di destra, anzi con qualche inevitabile scorza di sinistra tipica di chi abbia con le migliori intenzioni frequentato una qualunque scuola di giornalismo in Italia, piena di pensionati dell’Unità e di sindacalisti. Ma per il resto, ci ritrovo lo scrittore del Mondo piccolo, figlio di una maestra. Nessun disprezzo per noi italiani, ma spietato con chi non ha voglia di lavorare, chi è sciatto, chi è arrogante; senza mai sentirsi al riparo da questi difetti «meridionali» che ormai sono il vero cattivo comun denominatore d’Italia. (Cito: «Forse al Nord si evade il fisco meno che al Sud? Forse il traffico è meno congestionato e non si suona il clacson per strada? Forse al Nord non si paga il pizzo, non si pratica l'usura, non si sfrutta la prostituzione, non si cede al racket, non si accolgono gli investimenti della camorra?»).

Esiste però qualcosa di forte che si esprime quando meno ce lo si aspetta, qualcosa di antico e vitale, molto italiano. Soprattutto Aldo Cazzullo come Guareschi è un borghese, un piccolo borghese, con tutta l’apertura alare tipica immensa di questa specie animale che ha fatto grande l’Italia con il suo decoro e la sua decenza laboriosa non meno del proletariato e certo più delle grandi famiglie alto borghesi. Ovvio, Guareschi è inarrivabile, e non è possibile tirare il cronista piemontese-romano sullo stesso piedistallo: a Cazzullo, il più bravo insieme con Mattia Feltri della sua generazione di quarantenni, manca il lager, manca la persecuzione in carcere. Cazzullo, da inviato del Corriere della Sera, ha girato a fondo l’Italia, ha intervistato grandi e piccoli personaggi, soprattutto non ha mai smesso di essere piemontese, di Alba, di una famiglia borghese e seria. Il capitolo più divertente e pessimista è quello intitolato: «Gli italiani non hanno più voglia di lavorare». Non fornisce statistiche. Racconta episodi di vita quotidiana.

Esempio di mezza paginetta. «Alla stazione di Reggio Emilia... Nell’attesa faccio tappa al bar. Una volta i bar delle stazioni meno importanti erano poco più di chioschi. Il bar della stazione di Reggio Emilia è grande come un autogrill, anzi è un autogrill. “Cosa prende?”. Una spremuta d’arancia, grazie. “E no, la spremuta no”. Non ci sono arance? “Certo che ci sono arance. Ma abbiamo già pulito lo spremiagrumi”. Non potete usarlo e pulirlo di nuovo? “Ce lo pulisce lei?”. Perché mi tratta così? “Non la tratto male, perché dovrei, oltretutto lei è il primo bianco che servo da un’ora a questa parte, non vede che qui intorno sono tutti neri? E poi perché vuole proprio una spremuta?” Ho già preso troppi caffè. “Nessuno prende la spremuta di pomeriggio, fa malissimo sa? Al mattino oro, alla sera piombo. Le va bene un decaffeinato?”. La barista della stazione è un tipo sbrigativo ma simpatico. Semplicemente la barista non aveva una gran voglia di lavorare, o almeno di pulire lo spremiagrumi».
Il capitolo più bello è quello intitolato «I pazzi di Dio». È dedicato alla Chiesa, anzi ai preti su fino ai cardinali e ai due Papi degli ultimi tempi. Lui non nasconde di ritenere il cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, la «personalità più forte emersa nella Chiesa italiana». In uno degli incontri annuali che Cazzullo ha con lui, Scola racconta di un parrocchiano malato di Sla, in grado di comunicare solo con le palpebre, che l’ha accolto attorniato da tre figli bambini con una tavoletta con le lettere dell’alfabeto, che il padre ha indicato con gli occhi a comporre una frase: «Io sono felice di vivere. E lei, patriarca? “Mi sono sentito un verme”». Anche per queste cose che accadono in Italia il post scriptum del libro si intitola: «La Speranza».

Con molta parsimonia, ma speranza.

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