Politica

«La legge sulle intercettazioni è da cambiare»

«In Italia sono troppi gli apparecchi sotto controllo. Ma non si può parlare di abuso»

Vittorio Macioce

nostro inviato ad Alvito (Frosinone)

Il governatore qui è solo un'ombra di cui tutti parlano. Troppi sussurri, troppi giornalisti, troppe chiacchiere, troppe cicale. Fa caldo, un caldo che non ricordi. Antonio Fazio è andato via due sere fa, in silenzio, a sirene spente. Ogni tanto spunta qualcuno con la faccia da cronista, cammina sotto i platani, sudato, e fa domande: chiede al barista e al benzinaio, al sindaco e al vecchio che beve vino. Alvito - tremila abitanti, un castello che cade e non cade, un palazzo ducale, quattro porte di pietra antica e il parco nazionale all'orizzonte - ora è un titolo da giornale. Leggi e ti chiedi se davvero qui, al centro di questa valle, si sia svolto l'ultimo grande gioco della finanza, patti con il diavolo e l'acqua santa, intrighi di opa e cordate, come se qui i sacerdoti del dio denaro venissero a confabulare, nascosti al mondo. Come se questo fosse davvero il luogo dove si ridisegnano destini e confini del capitalismo italiano. Alvito scenario da leggenda. Alvito ombelico d'Italia, come una centrifuga di ciò che leggi sui giornali. Quanto costa una telefonata al governatore? Alvito, come in Italia, si pensa sempre di sapere tutto di tutti.
Tre giorni dopo la bufera. Danilo, il ragazzo dell'edicola, è finalmente contento degli affari. Non ha mai venduto come in questi giorni. Fazio è come il castello, un uomo in bilico. Alvito affoga nella curiosità. Alvito si toglie il cappello davanti ai potenti, ma non perdona chi cade. È stato sempre così. Hai visto, in questo paese, funerali di antichi signori. Dietro la bara non c'era neppure un cane. C'è gente davanti al caffè dell'orologio, la vecchia torre civica si appoggia alla chiesa di San Simeone e scandisce l'ora. C'è uno che dice: «È la fine di un mito. Il governatore non ha mai raccomandato nessuno. Quando uno di Alvito andava da lui per il concorso del figlio, Fazio tirava fuori una pila di libri e diceva: “Ecco, digli di studiare”. Un signore urla: si dimette, si dimette. Altri non ci credono. Molti non capiscono: «Ma che ha fatto poi di così grave? Ha solo chiamato uno al telefono. Ha detto: “ho firmato”. E l'altro ha risposto: “ti darei un bacio”». Qualcuno fa filosofia spicciola: «Il potere corrompe». Gli altri fanno di sì con la testa e gongolano. Nessuno prega.
Tutti parlano di ciò che non conoscono. La finanza è un mondo lontano. Gli alvitani rimproverano a Fazio di non aver mai fatto nulla per Alvito. Uno dice: «Non ha fatto una strada, una piazza, una piscina». Il vecchio che beve vino risponde: «E mica lavora all'Anas». Gli alvitani volevano qualcosa, qualsiasi cosa, un simbolo del potere. Il governatore cercava il riposo. Lo vedevi in chiesa, per chi ci andava. E vedevi i carabinieri della scorta. Basso profilo, come sempre. Forse è questa la condanna di Fazio. Il basso profilo, per gli alvitani, è qualcosa di ambiguo. E quanti davvero conoscono il governatore? Sanno chi era il padre e chi il fratello. Hanno visto crescere Maria Cristina, la moglie, e vedono ogni tanto i figli. Sanno che per tutti Alvito è il rifugio dell'anima, l'unico posto dove si può essere ciò che si è, senza cariche e responsabilità. Fazio qui è un governatore quasi per caso. Su un quotidiano si parla di un Fazio accanito giocatore di tressette. Mai visto. È una leggenda che ritorna ogni tanto. L'uomo di Bankitalia che torna nel suo paese e s'ingaglioffa come Machiavelli tra le carte e il vino. È il governatore che forse gli alvitani avrebbero voluto.
Meglio speculare su altro. Alvito è un ducato medioevale. Era la capitale di un feudo di gente venuta dal lago di Como, i Gallio-Trivulzio. Avevano un pezzo di terra anche dalle loro parti, una contea. La contea di Cernobbio, lì dove ogni anno s'incontrano vassalli e valvassori dell'Italia in gessato grigio. È un cerchio che si chiude, come un destino.

Da qualche parte era scritto che il futuro del capitalismo italiano facesse sosta qui, sull'altra sponda della finanza.

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