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L'epurazione dei giornalisti di destra: Travaglio vuole la pulizia etnica

Per aver osato rispondergli pretende che Santoro mi elimini dalla lista degli ospiti. Santoro droga la tv, ma la Rai sta zitta

L'epurazione dei giornalisti di destra: 
Travaglio vuole la pulizia etnica

Caro direttore,

non mi sono fatto vivo sulla questione che mi ha toccato in prima persona, la settimana scorsa, nella trasmissione Annozero. Come sai ho avuto uno scambio di battute piuttosto forte con Marco Travaglio. Mi sono permesso di dire: «Sarà capitato anche a te di frequentare persone che non si sarebbe dovuto frequentare». Niente di più: c’è la prova televisiva, si direbbe a Controcampo. Ne è scaturito un finimondo. Io sono diventato un «fascistoide», un «poveraccio» e «un liberale del cavolo». Passi per quello che è avvenuto in trasmissione. Gli animi in diretta si possono scaldare e anche il mio si è scaldato troppo. Il giorno dopo, a freddo, sul quotidiano di Travaglio, il medesimo liberale del cavolo, con Belpietro, è diventato anche il «trombettiere», che «sguazza nella merda», «fa il frocio con il culo degli altri» e che a fine trasmissione va da «Berlusconi a ritirare la paghetta». E facciamo passare anche questa.

I ragazzi di Travaglio sono ben organizzati e si sono passati la parola per ricoprirmi di insulti sul mio blog e sulla casella di posta elettronica. Alcuni, i più soft, li ho pubblicati; ti potrai immaginare cosa ne è uscito fuori: ininfluente per me, un po’ meno per la mia famiglia oggetto incolpevole anche essa di insulti e minacce (ho detto bene: minacce) che non si merita. Ritengo che parlare di noi, di giornalisti, e di ciò che ci riguarda sia di scarso, scarsissimo interesse per i lettori. La banalissima questione Travaglio era necessario chiuderla là, una settimana fa. Ma caro direttore ieri ho finalmente capito che la vicenda non riguardava più solo il sottoscritto e Travaglio. Ho capito che una certa parte del nostro salottino intellettuale si è sentito colpito nel vivo. Si è trovato un soggetto fuori dai giri, il sottoscritto, che ha fatto perdere la Trebisonda al proprio eroe (Travaglio). Se il buon senso vince sull'ideologia, questi signori sono fritti. Se in ogni contesto, dal bar alla tv, un John Galt qualsiasi si alza in piedi e ribatte con qualche argomento al Travaglio di turno, l’impunità intellettuale di cui godono questi oracoli va a farsi benedire. Le parole di Travaglio, fino a prova contraria, non sono legge. Chiunque glielo può ricordare. E la trasmissione dell’altra sera, dimostra come anche i suoi nervi non siano così saldi.

Ecco perché occorre delegittimare qualsiasi interlocutore critico, prima che sia troppo tardi per la sacralità della conventicola. Ieri leggendo Barbara Spinelli sul quotidiano di Travaglio, ho capito infatti che l’artiglieria che conta si è mossa. Se si scomoda la maestrina del giornalismo, quella che se raggiungi l’ultima riga del suo pezzo ti danno un premio, e che se non cita Popper e Pulitzer non è contenta, dicevo se si muove la maestrina è evidente che nella casa ci sia il timore è che una gigantesca pernacchia collettiva sommerga tutti questi moralisti con la verità in tasca. Il copione è semplice. Il primo tempo è quello in cui si gioca facile: l’avversario, cioè il sottoscritto, è venduto al Cav e dunque, ipso facto, non è credibile, non ha diritto di parola. Le sue contestazioni sono solo aggressioni. È un fascistoide. Il secondo tempo è quello più subdolo, e qui entra in gioco la maestrina o chi per lei: l’avversario, cioè il sottoscritto, non è degno del mestiere del giornalista. È il classico italiano (non smettete mai di dire quanto vi faccia schifo questo Paese!) che tira a campare e che nel resto del mondo farebbe il portavoce del governo. Il secondo tempo si incarica dunque di distruggere la professionalità, così in cento righe, per far qualcosa. Si prende a prestito un supposto ottimo, il modello americano, e lo si confronta con il pessimo, il modello italico-berluscoide.

La cosa ridicola è che non si conosce il primo, se non per sentito dire, ma neanche il secondo. Vi è infine un terzo tempo. È riservato al conduttore. Michele Santoro, che pure qualche mattoncino per la costruzione del fortino antiberlusconiano lo ha portato, viene così preso di mira: come si permette di ospitare gente della risma di Porro e Belpietro? Non si rende conto di aprire un varco al nemico. La guache caviar dalla Spinelli a Colombo, non ha mai sopportato questo salernitano che non sa indossare le cravatte della DeClerque. Infine c’è un altro piano. Una certa parte degli intellettuali, scrittori, giornalisti di questo paese non potrà mai venire accettata dal nostro bolso establishment culturale (echissenefrega, dirai giustamente tu direttore), se non farà pubblica manifestazione del proprio antiberlusconismo preconcetto.

Non bastano i distinguo, ci vuole il vero dna di antiberlusconiano per diventare un intellettuale degno di questo nome. Ovviamente le cose non vengono dette in modo così semplice. Ci si aggrappa sempre a qualche grande categoria dello spirito. Il filo rosso è rappresentato dalla scarsa serietà che contraddistingue chi non la pensa al modo dei soci del club della pernacchia (Travaglio, Spinelli e Colombo, solo per considerare questo minimo caso televisivo). Chi non fa parte del piccolo circo degli intellettuali chic (quelli che le hanno sbagliate tutte da Lotta Continua ai sindacati a Travaglio) è per definizione poco serio. Non potrà vincere mai un premio giornalistico (sai che minaccia), non potrà mai agguantare la verità e se ha un’idea (sì, anche da queste parti capita di averle) è pagata dal Cavaliere. Noi caro direttore non siamo seri, perché nella vita non abbiamo mai fatto quel genere di stupidate (ops maestrina! Ma d’altronde a forza di frequentare Travaglio le parolacce le capirà anche lei) che sole ci spiegano il vero senso del giornalismo. Gli intellettuali à la page possono essere pagati dalla Fiat (le perle della maestrina sono forse retribuite direttamente dal padreterno?), o da De Benedetti, ma non da Berlusconi jr. Citano Popper ma non si mettono mai in discussione. Per loro la falsificazione della verità equivale al pentimento: a distanza di dieci anni fanno ammenda dei propri errori e sposano la nuova moda e così via. Si sentono così molto popperiani.

La loro presunzione intellettuale non gli fa vedere la drammatica contraddizione in cui cadono: chiedono a Santoro una pulizia delle liste degli ospiti, l'ostracismo per Porro e Belpietro, con lo stesso sciocco piglio con cui Berlusconi voleva la chiusura di Santoro, per motivi esattamente opposti. Travaglio e il travagliame sono diventati una scorciatoia per avere un ruolo nell’antiberlusconismo. Il fondatore ha la capacità di stare sul mercato quasi unica nel panorama giornalistico italiano. Si è ritagliato una fetta di pubblico che lo segue fino alla morte. È nervosetto come un Savonarola delle Alpi occidentali con gozzo da cretino, ma insomma merita il rispetto, che deriva dal suo successo editoriale. Intorno al lui stanno crescendo dei funghetti velenosi, che non hanno nessuna qualità se non il proprio veleno. Mettendo in discussione Travaglio, gentile direttore, per la maestrina Spinelli-Colombo-Verdurin ho leso la maestà di un eroe moderno dell'antiberlusconismo. Lo rifarò. E spero che molti parvenu mi seguano.
Nicola Porro


Caro Nicola Porro,

c
omprendo il tuo dignitoso sfogo e lo faccio mio. Con qualche distinguo e qualche aggiunta. Travaglio ha chiesto a Santoro di avviare una pulizia etnica ad Annozero, e la notizia è che non l’ha ottenuta. Per ora. Più avanti vedremo. Rimane il fatto, la cui gravità è sfuggita a Furio Colombo e a Barbara Spinelli, che Travaglio nel pretendere l’epurazione tua, di Belpietro e di ogni giornalista la cui opinione diverga dalla sua, ha manifestato pubblicamente di essere un razzista di tipo culturale. Lui è per il pensiero unico, il suo. Quello degli altri non può essere espresso nel programma televisivo del quale egli è il reuccio. Travaglio rifiuta il ragionamento, vuole avere ragione e basta. E se tu, Belpietro o chiunque altro vi permettete di eccepire, perde la testa come tutti quelli che non ce l’hanno. Ciò detto, penso non valga la pena di prestarsi al gioco di Annozero: frequentare i razzisti, gli «spazzini etnici», serve solo a dar loro del lavoro, per altro ben pagato. Anche io talvolta sono caduto in trappola, ma ho imparato la lezione: ora giro alla larga da Santoro e da Travaglio. Sono convinto che se i colleghi discriminati dai razzisti progressisti facessero come me - non partecipassero alla trasmissione - il conduttore e i suoi complici se la canterebbero e se la suonerebbero per conto loro; e i dati di ascolto, in assenza di vittime volontarie, crollerebbero. Meglio non collaborare con chi ti invita allo scopo di usarti come utile idiota.


V.F

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