Cronaca locale

Via Lomellina, addio con rabbia: «Non deve accadere mai più»

Ai funerali delle vittime, lo sfogo dei superstiti. Il Papa invia un messaggio

Giacomo Susca

Un pugno al cuore la bara bianca del piccolo Francesco Orlando, sepolto dalle macerie la notte del crollo in via Lomellina, sulle spalle di chi ce la mise tutta pur di salvarlo. Su di lui, ora, il velluto di una coperta di fiori e due magliette della Juventus numero dieci, la squadra preferita, autografate dall’idolo Alex Del Piero come regalo speciale. Le hanno posate sul feretro i genitori Saverio e Viola, prima di entrare in chiesa, sfiniti dal dolore e dalle lacrime.
Il pianto di tutti i milanesi si mischia alla rabbia, per una tragedia che non rimarrà nella memoria collettiva come un semplice «incidente». Con «Franci», anche Tommaso Giancola e Esmeralda Sfolcini ricevono l’applauso delle migliaia di persone che riempiono il sagrato e le navate della basilica di Sant’Ambrogio, l’altra vittima, Ilir Iaku, è volata in Albania dove verrà sepolta. Il rito funebre è celebrato dal vicario episcopale della Diocesi di Milano, monsignor Erminio De Scalzi, che in apertura legge il telegramma di cordoglio del Santo Padre, Benedetto XVI, recapitato dal neo segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone. «Il sommo Pontefice - recita il messaggio - incarica vostra eminenza presentare espressione suoi sentimenti di profondo cordoglio ai familiari assicurando fervide preghiere di suffragio per quanti sono tragicamente scomparsi». Anche l’arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, che si trova a Roma per motivi d’ufficio, vuole essere presente spiritualmente nell’ora dell’estremo saluto alle vittime, aggiungendo «la sua gratitudine per il loro generoso e tempestivo intervento a tutti i soccorritori, al personale medico ospedaliero, alle forze dell’ordine, ai vigili del fuoco, al governo della città, alla Protezione civile, alla parrocchia e al quartiere» colpito dalla strage. Tra i banchi, i rappresentanti di tutte le istituzioni e delle squadre di pronto intervento citate da Tettamanzi, a cominciare dal sindaco Letizia Moratti con il vicesindaco Riccardo De Corato, gli assessori comunali, il prefetto Gian Valerio Lombardi, il vicepresidente della Provincia Alberto Mattioli, l’assessore regionale alla protezione civile Massimo Ponzoni.
Nell’omelia De Scalzi ricorda «il sussulto di solidarietà che la città ha avuto in seguito alla tragedia. Da quella spicciola e semplice, fatta di umanità, di vicinanza, di dono da parte di singole persone, ma anche quella delle istituzioni e del governo cittadino». L’auspicio è che tale «corale solidarietà vada al di là dell’emotività di questi giorni». Tempo che si spera serva a far piena luce su quanto accaduto la sera del 18 settembre. «Occorre accertare cause e responsabilità vere, di modo che Milano torni a essere una città in cui si può vivere sicuri e dove eventi simili non si ripetano mai più - prosegue De Scalzi -. L’impegno urgente resta quello di assicurare una casa alle famiglie che hanno perso tutto, impegno che vorrei fosse sentito dall’intera comunità». Al termine del rito la folla dedica un sentito applauso ai tre feretri, mentre i parenti accarezzano i propri cari per l’ultima volta. Letizia Moratti prova a consolare i congiunti del povero Francesco, abbracciando e sorreggendo la mamma Viola, come aveva fatto la notte in cui aveva dovuto dirle che non c’erano più speranze per suo figlio. Il momento del distacco è troppo duro per Viola, che cade svenuta. La porta via un’ambulanza. All’inizio della funzione era stato lo zio del bambino, il pompiere Mario Balsamo, a non reggere l’urto del dolore e venire trascinato fuori a braccia dai colleghi, che continuavano a ripetere: «Abbiamo fatto tutto quello che era possibile per Francesco», parola di Giovanni Bucciarelli, che insieme al caposquadra Flavio Biffi ha preso tra le mani Franci quando ormai era troppo tardi. E gli sfollati, i feriti, i sopravvissuti «per miracolo» a ripetere che «col gas non si scherza, ’ste cose non devono succedere». L’idraulico Franco Guercia porta addosso i segni della sua avventura.

Non fa che raccontare: «Quella via è una mina, credetemi. Ci vogliono le disgrazie per far sì che qualcuno si muova?». I carri funebri si allontanano, in quello del più piccolo il papà ha messo un camion giocattolo: dei pompieri.

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