«Sarò il vento» recita una sua poesia. Come il vento, passare attraverso foglie, attraversare terre e acque, e ovunque «lasciare il segno: la parola insegnare significa proprio questo». Luisa Gorlani è lInsegnante dItalia. Un premio ricevuto in questi giorni, a Roma, dalla giuria del Premio Eudonna. Luisa è nata a Legnago, in provincia di Verona, ma è cresciuta a Brescia e ha cambiato città diciotto volte: il destino di suo marito, ammiraglio della Marina Italiana. Oggi ha capelli sulle spalle color argento e un bel paio docchi chiari. Spiega la sua vita, che come una matrioska sembra serrarne cento: crocerossina, psicologa, saggista e drammaturga. Ma soprattutto, insegnante di lettere antiche e terapeuta della poesia, che quasi descrive come la forma più operativa e universale della speranza.
Padre filosofo che però, per mantenere i quattro figli, faceva il segretario comunale, fin da bambina Luisa ha nutrito il sentimento del sacrificio e della scoperta. Simile alla più tenace Anna dei miracoli, ha avuto allievi da Nord a Sud. Percorrendo tragitti trafelati col pancione e la sua Cinquecento, sempre pronta a impacchettare tutto e conoscere chissà chi. Guarendo con la creatività del verso («la poesia delle paure, la poesia del segreto
») balbuzie refrattarie ai maggiori specialisti europei, traumi sepolti in episodi fortuiti della prima infanzia, ambienti destinati al degrado sociale e culturale. Tirando su generazioni di piccoli uomini dei quali ricorda, uno per uno, i nomi di battesimo. Già sotto i platani della sua adolescenza, quando sgambettava da un sasso allaltro tra i fiumi, le sue giornate si affollavano dei personaggi di Dostoevskij e Tolstoj, consegnando la solitudine a un mondo di letteratura che sarebbe stato il suo destino. «La letteratura è il luogo delle risposte» dice.
Suo marito lo ha conosciuto in Sicilia. «Mi sentì parlare con una bambina e dirle che non sapevo nuotare - racconta - . Allora non sapevo che fosse un sommergibilista. Aveva spalle larghe come quelle di Atlante, capaci di sorreggere il mondo». Un giorno vivevano entrambi a Taranto e lui era via da un mese, sparito nel mare a bordo di un sommergibile: Luisa non sapeva più neppure se fosse vivo, finché una telefonata, a scuola, non le diede la notizia del suo ritorno. Doveva correre a vederlo, almeno per un istante. Ma quei ragazzi avevano unindole ribelle, le reazioni più scomposte che avesse mai visto, un rigetto incondizionato e violento delle regole: persino i vetri delle macchine, fuori dalle scuole, spesso li si trovava in frantumi. Eppure la sua classe. quel giorno, le regalò unabbraccio. I ragazzi restarono ad aspettarla nella quiete che solo lei aveva saputo impartire a tutti, a forza esercizi, ostinati e costanti come un pendolo, puntati alla loro creatività e alla capacità di affidarsi.
A Cesano invece (35 chilometri da Roma), ha insegnato agli studenti i tesori della loro stessa terra. Si vide circondata da meraviglie archeologiche, stornelli di nonne ormai estinti, cacciatori di nome Omero, luoghi e persone che, senza saperlo, detenevano reperti preziosi scolpiti nellarchitettura e nelle nenie. Con quei ragazzi, Luisa Gorlani ha scritto un libro di archeologia.
E per commentare la frase di Paul Nizan (traccia dei recenti esami di maturità), su quanto sia difficile avere ventanni, sostiene che la più grande paura di oggi è quella di sempre: lignoto. «Ma in Val Camonica conoscevo una vecchietta che si sedeva fuori dalla porta ad ascoltare il sole. Insegnava a sua figlia che chiunque può precipitare in un burrone ma, allo stesso modo, risalire. E deve farlo da solo».
Luisa, l«Insegnante dItalia» che tutti vorremmo avere
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