Teatro

Malore per Pertusi che riesce a finire il "Don Carlo" (tra gli applausi)

L'apertura del sipario per l'attesa inaugurazione della Scala con l'opera grande Don Carlo di Giuseppe Verdi, presentava un'immagine quasi-fissa: l'interno del chiostro di San Giusto dove riposano le spoglie dell'imperatore Carlo V

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L'apertura del sipario per l'attesa inaugurazione della Scala con l'opera grande Don Carlo di Giuseppe Verdi, presentava un'immagine quasi-fissa: l'interno del chiostro di San Giusto dove riposano le spoglie dell'imperatore Carlo V, nonno del protagonista, Don Carlo. La minimale struttura concepita dallo scenografo Daniel Blanco rispetta grosso modo il tempo dell'azione, come fanno i costumi di Franca Squarciapino, dominati dal nero, che gli esperti informavano essere riferimento a Velázquez, pittore però non di Filippo II ma del nipote Filippo IV. Accoppiamenti non troppo giudiziosi, più ideali che storici, in contrasto con certa confusa volgarità di passati sette dicembre; azione scenica però non pervenuta.

Primo a uscire il Frate, Jongmin Park, che intona il suo memento mori con bel timbro. Poi viene la volta del tenore Francesco Meli, piuttosto preoccupato dal tormentato e sempre ingrato ruolo dell'Infante, in attesa dell'incontro con l'amico Posa, interpretato dall'esuberante baritono Luca Salsi, che ha cercato a tratti di attenuare la tendenza alla declamazione stentorea per aderire ai panni di un Grande di Spagna.

Sonoramente applaudita la canzone del velo di Elina Garança, una principessa di Eboli vocalmente aristocratica che si presenta un po' algida; mentre Anna Netrebko ha dato subito sfoggio della soave morbidezza del suo timbro sontuoso che ben si addice ad una regina-vittima sacrificale, soprattutto quando nella sua prima aria conforta la sua dama di compagnia, esiliata per averla lasciata sola.

Ultimo in ordine di apparizione nel primo atto il basso Michele Pertusi che ha la presenza scenica adatta per Filippo II, e dice molto bene recitativi e declamati pur dovendo guardarsi da certe zone vuote nel registro più basso. Dopo il grintoso terzetto nel giardino che apre il secondo atto, la scena spettacolare per antonomasia, l'auto-da-fé, il rogo degli eretici, delude per l'assenza dei movimenti del coro, che assiste ad una carneficina come in un oratorio. Bella trovata registica: mettere Filippo al centro di un retablo dorato come statua vivente del potere consacrato. Complimenti ai sei deputati fiamminghi che intonano il loro commovente corale di invocazione alla pace nelle Fiandre (meritevoli allievi dell'Accademia della Scala).

Alla chiusa del quadro si arriva con qualche eretico trascinato, senza rogo, unica emozione lo scoglio passato dal tenore nella perigliosa intemerata davanti al padre (quello che costò al gran Pavarotti una precedente inaugurazione con Don Carlo). Seconda uscita alla ribalta del Sovrintendente Meyer che aveva assicurato all'inizio che non voleva annunciare un infortunio vocale e che tutto andava bene proclamando la Scala come patrimonio Unesco del canto lirico; questa seconda uscita era per ringraziare Pertusi che cantava nonostante indisposizione, annuncio forse non necessario perché le condizioni vocali del basso parmigiano erano esattamente quelle dei primi tre atti; ma utile: il pubblico lo ha sostenuto con civile cordialità.

In anni passati certo loggione non avrebbe avuto più pietà dell'Inquisitore per gli eretici. Lo stesso basso Park si è presentato come Grande Inquisitore nel duetto capitale con Filippo. Seppure in abiti prelatizi poco propizi all'identificazione con un cardinale cieco nonagenario, era ben registrato vocalmente, sufficiente dal punto di vista delle intenzioni cosa assai lodevole per un cantante non madrelingua italiana. Gran bel duello delle due donne nella confessione di Eboli e nel vigoroso don fatale della Garança, il punto più alto della serata con il finale superbo della Netrebko. Ben ricevuta dal pubblico la scena madre dell'assassinio di Posa, la nobilissima morte del baritono, prima di una sommossa che è sconvolgente in orchestra mentre in scena il popolo entra come in gita turistica.

Gloria finale a Verdi e ai suoi molto festeggiati interpreti vocali; qualche sonoro distinguo per il direttore; più marcati per il gruppo registico.

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