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La natura non esiste

Le manipolazioni genetiche? Nei campi ci sono da sempre: frutta e verdura sarebbero immangiabili se non fossero state migliorate dall'uomo. E oggi al posto dei vecchi Ogm ci sono le "Tea"

La natura non esiste

La natura non esiste. Non più. Non è certo quella che vediamo tonda, schierata e accattivante sugli scaffali dei supermercati e, tanto meno, è quella che ammicca nelle confezioni a marchio bio.

Fosse stato per lei, madre natura mai avrebbe prodotto le melanzane così come le conosciamo oggi, ma le avrebbe lasciate spinose e immangiabili. Così come le banane, i cui puntini marroni all'interno sarebbero stati dei grossi chicchi spacca denti. L'insalata non sarebbe a foglia larga ma come le erbacce infestanti e il pomodoro sarebbe giallognolo e non più grande di una ciliegia. «A dirla tutta - spiega Roberto Defez, direttore del laboratorio di Biotecnologia all'Istituto di Bioscienze del Cnr a Napoli - le piante che mangiamo sono l'opposto di quello che l'evoluzione naturale avrebbe selezionato. Abbiamo spogliato le piante della gran parte delle loro difese che ci erano dannose (o tossiche) o semplicemente ci erano scomode, abbiamo selezionato quelle più digeribili». Per usare le parole di Philippe Descola, l'antropologo francese titolare della cattedra che fu di Claude Lévi-Strauss al Collège de France, «la natura è un'invenzione recente». È il frutto di un addomesticamento.

CONTADINI O GENETISTI?

Cosa è successo? Si chiama semplicemente agricoltura, cioè la prima modificazione genetica della natura. Già, perché nessuna pianta ha in sé il progetto di farsi mangiare dall'uomo: il frutto serve a nutrire il seme ma nel tempo il seme è stato reso sterile per lasciare integra più a lungo la polpa del frutto a favore dei predatori, cioè noi uomini. «Il principale nemico della biodiversità - sostiene Defez - è l'atto stesso di coltivare». Il passaggio da specie selvatiche poggia su mutazioni naturali del Dna che hanno cambiato le caratteristiche delle piante. Questa selezione ha però portato con sé la perdita di molta variabilità genetica, che adesso ci sarebbe molto utile per sviluppare colture sostenibili e di qualità. Ad esempio, la selezione fatta sui chicchi di riso in favore di quelli più grossi (pieni di amido) è andata a discapito di quelli più ricchi di proteine ma il contadino di un tempo non poteva saperlo.

Abbiamo scelto sistematicamente frutti con colori meno scuri, privilegiando il bianco della patata o l'arancione della carota, senza sapere che il viola originario degli alimenti era legato alla presenza di molecole, gli antociani, che sono tra quelli più salutari per l'uomo. L'agricoltura è il risultato di un processo di miglioramento genetico continuo che ha utilizzato via via conoscenze scientifiche sempre più approfondite sul funzionamento dei geni e su tecnologie avanzate e questa «cassetta degli attrezzi», che si arricchisce sempre più, è quella necessaria anche per rispondere alle sfide che l'agricoltura si trova ad affrontare, in primis i cambiamenti climatici.

Ma nel momento il cui le stesse mutazioni ottenute in 10mila anni di coltivazioni vengono fatte in laboratorio, apriti cielo. Ne nasce la guerra agli Ogm. Che non sono né più né meno che le stesse mutazioni cercate dall'agronomo vecchio stampo ma in chiave scientifica.

IL RISCATTO DEI LABORATORI

La «cassetta degli attrezzi» dei genetisti agrari si è arricchita di un nuovo strumento molto potente, il risultato dell'applicazione di quelle tecnologie di mutazione diretta e specifica del Dna che hanno portato all'assegnazione del Nobel per la Chimica del 2020 alle ricercatrici Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna. Demonizzati per anni, ora gli organismi geneticamente modificati non sono più quelli di una volta ma sono di nuova generazione e potrebbero rivelarsi molto utili per realizzare gli obiettivi della strategia Farm to fork contenuta nel Green deal europeo. In sintesi, per raggiungere quella sostenibilità auspicata entro il 2050. Sì, dalle celle dei laboratori potrebbe nascere la nuova agricoltura sostenibile. Queste tecnologie, che riproducono gli effetti delle naturali mutazioni spontanee, ma in modo preciso e mirato, sono state chiamate «Tecnologie di evoluzione assistita», proprio a sottolineare il loro scopo. La differenza rispetto agli Ogm non sta solo nel nome ma anche nella sostanza del procedimento. Non c'è più transgenesi (ovvero il trasferimento di geni da una specie ad un'altra) ma ci si affida a una mutagenesi mirata e alla cisgenesi. Significa che i ricercatori agiscono sulla modifica dei tratti genetici dell'organismo vegetale o animale, in modo tale da renderlo più resistente alle malattie o alle intemperie atmosferiche, modificarne il valore nutrizionale e addirittura eliminare tossine e allergeni. E allora i campi ci daranno pomodori più digeribili, meloni con meno allergeni e anche pane perfetto per i celiaci.

Se scientificamente tutto sembra funzionare, dal punto di vista legislativo ci sono intoppi il cui superamento non è né facile né assicurato, soprattutto dopo anni di lotta e veleni sugli Ogm che hanno creato correnti politiche trasversali ai partiti e pregiudizi duri da sradicare.

LE TECNICHE MIMA-NATURA

A dare una chance alle nuove tecniche dell'agricoltura intelligente è la Commissione europea che, lo scorso aprile, ha presentato uno studio dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa). I risultati sostengono che tutte le tecniche per alterare il genoma di un organismo sviluppate dopo il 2001 (quando è stata adottata la legislazione dell'Ue sugli Ogm), hanno ad esempio portato a ridurre l'uso di pesticidi. Eppure le nuove Tea e i cibi geniali (ma etici) rischiano di rimanere al palo a causa di un giudizio della Corte di giustizia europea che, contrariamente all'opinione della grande maggioranza della comunità scientifica, assimila le varietà Tea agli Ogm, impedendo di fatto di utilizzarle. Nel frattempo però le modificazioni che si potrebbero ottenere in laboratorio trovano il favore delle organizzazioni di categoria, compresa Coldiretti, che tra l'altro ha firmato un accordo con la società di genetica agraria (SIGA) per promuovere queste tecnologie. «Non facciamo altro che riprodurre in maniera precisa e mirata i risultati dei meccanismi alla base dell'evoluzione biologica naturale - spiega Enrico Pè, professore di Genetica agraria alla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e presidente della SIGA - Di fatto sono tecnologie che mimano la natura» e tutelano la biodiversità. Potrebbero infatti essere applicate per eliminare i difetti di molte delle varietà che caratterizzano il made in Italy e che le rendono o poco produttive o in balia di malattie devastanti, ad esempio il famoso San Marzano (estremamente suscettibile a un virus), oppure il vitigno Nebbiolo (suscettibile a patogeni fungini), mantenendone allo stesso tempo tutte le caratteristiche qualitative. Si otterrebbe anche un prezzo finale del prodotto più basso e la possibilità di salvare il primato europeo dell'Italia sulle biodiversità agrarie. «La riproduzione è così fedele che le piante migliorate - spiega Pè - sono come quelle che avrebbero potuto essere prodotte casualmente, chissà quando e chissà dove, da un evento naturale fortunato. Le nuove tecnologie permettono insomma di 'guidare la sorte': un po' come se potessimo stampare un biglietto vincente della lotteria».

SANTO BIO, MALEDETTO OGM

Per anni abbiamo sentito ripetere il concetto che Ogm è male e Bio è bene, quasi fosse un mantra. Ma la comunità scientifica non la pensa così. E i due pregiudizi sono prevalentemente frutto di marketing e comunicazione. Che hanno fatto passare gli Ogm come qualcosa di letale («Invece nessun Ogm autorizzato e commercializzato ha mai causato danni sanitari o ospedalizzazioni» dichiara Defez) e il Bio come qualcosa «secondo natura». Senza alcun tipo di pesticidi o affini e sostenibile. In realtà non sempre è così e il falso bio è più diffuso di quel che pensiamo.

«I pregiudizi sugli Ogm - aggiunge Pè - sono frutto di una poca conoscenza scientifica molto diffusa anche negli strati della popolazione più colti».

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