Il maresciallo poeta che prende i ladri e i premi di scrittura

C’è un personaggio straordinario a Milano. In lui c’è l’essenza meravigliosa di questa città. È il sovrano morale di una costola della metropoli: è il comandante dei carabinieri della compagnia di Assago. Insomma, un maresciallo. Maresciallo Nicolò Licata. Sarebbe piaciuto a Mario Soldati. Il maresciallo in questione sa fare le indagini, ed è una sorta di riferimento per tutti, come capita nei piccoli centri sin dai tempi simboleggiati da «Pane amore e fantasia», con Vittorio De Sica a sintetizzare l’umanità dell’Arma. Ma fin qui sarebbe ancora qualcosa di normale, positivo ma in fondo risaputo. Invece qui è un’altra storia. Bisognerebbe farci un serial televisivo, diverso però da quelli con protagonista Gigi Proietti nelle vesti del maresciallo Rocca. Perché Nicolò Licata è un’altra cosa. È il maresciallo dei carabinieri di Assago. Sarebbe un bel soggetto da romanzo. Peccato che già li scriva lui, romanzi e racconti, e sono bellissimi. E allora? Leggiamoli. La Otma ha pubblicato nei giorni scorsi «Il mistero di Raffaello», 12 euro. L’autore lo presenta a Buccinasco domani alle 20 e 30, alla Cascina Robbiolo, in via Aldo Moro 7. In passato ha prodotto un altro volume interessantissimo «Storie e leggende».
L’incertezza adesso è scegliere se parlare di lui, di Nicolò Licata, o dell’ultimo romanzo. Non si vuole far torto all’uno o all’altro. Ma visto che si somigliano parliamo di entrambi.
Raffaello Sanzio sembra la persona che meno possa somigliare a un carabiniere. Raffaello è la pura trasparenza, il nitore delle sue Madonne. L’intelligenza degli affreschi. Ad esempio quello forse più famoso, la «Scuola di Atene», di cui alla Pinacoteca Ambrosiana (a proposito: visitatela, è un’immersione totale nella bellezza e nella cultura, non c’è paragone con nessun museo al mondo) si conserva il cartone preparatorio, è la sintesi mirabile della storia del pensiero occidentale. Esso invece non è solo ciò che appare. C’è dentro qualche cosa di più, una vita come amore e dolore. Il romanzo di Nicolò Licata ha qualche cosa a che fare con la lettura del Cenacolo fatta da Dan Brown. Per carità, non facciamo paragoni. Licata non venderà milioni di copie. La colpa è che trattasi di un carabiniere, e i carabinieri sono onesti. Hanno fantasia, ma non riescono a far forza alla realtà delle cose, a cambiarne i connotati per il gusto dello scandalo. Questo rende il libro bello e vero, aiuta il lettore a capire di più non solo di Raffaello e della sua pittura, ma - come capita quando ci si imbatte in una creazione del vero artista - anche noi stessi, ci fa ascoltare anche il battito del nostro cuore.
Questo accade a mettere Raffaello nelle mani (e negli occhi) di un carabiniere. Ma un carabiniere con un cervello, un’anima, una cultura, una storia. Un carabiniere vero, insomma, e non uno stereotipo da cronaca patetica o da barzelletta. Per questo penso che l’Arma dovrebbe dargli una medaglia, un riconoscimento speciale. Egli illustra il meglio di questa istituzione di cui gli italiani si fidano.
Riflettiamo. Uno pensa sempre, nel caso migliore, a un carabiniere del tipo Sanremo: «Minchia, signor tenente». Un uomo del sacrificio e dei buoni sentimenti. Dinanzi a un’opera di Raffaello gli si chiederebbe di mettersi davanti a custodirla. Sicuri che lo farebbe bene. Ma leggerlo nei suoi misteri, sorprenderne i segreti nella pulizia del disegno, beh questo sarebbe ritenuto più compito di un Vittorio Sgarbi o di un professore di Brera, e al carabiniere sarebbe affidato al massimo di consentire l’onesto svolgimento di una conferenza.
Infatti c’è un pregiudizio sui carabinieri. Sono considerati come la quintessenza della fedeltà, della capacità di rapporto con la comunità. E questo va bene, è uno di quei pregiudizi per cui tutti noi metteremmo la firma. Ma c’è un altro pregiudizio, e meno positivo: e cioè che siano così votati nel loro compito da annegarvi dentro la loro personalità individuale, la loro forza intellettuale.
Nicolò Licata invece non ha mai smesso di essere un ricercatore della verità, ed essa è si quella che si riferisce ai delitti, ma anzitutto è quella della nostra esistenza di uomini. Nato in Sicilia, con la quale coltiva rapporti di nostalgia e di solidarietà totali, ha lavorato in indagini delicate a Roma, Palermo, Firenze, infine a Milano. Il suo colpo maestro è stato a metà degli anni ’80 di catturare per strada un rapinatore seriale di farmacie. Ne aveva già colpite una cinquantina, e il colpevole risultava già in carcere. Si trattava però di un sosia. A lui le cose non quadravano e alla fine ha beccato quello vero e liberato un innocente che sarebbe stato sicuramente condannato. E intanto studiava, cercava (cerca) delinquenti, preveniva (e previene) crimini, ma nel frattempo ha coltivato storia e letteratura. Ha scritto volumi di poesie. E ora questo bellissimo volume. Se non fosse carabiniere vincerebbe lo Strega. Meglio di no però. Assago e tutta Milano hanno bisogno di gente di questo tipo che rappresenti lo Stato nei suoi aspetti migliori. Come sintetizza il professor Giampiero Cantoni, presidente della Commissione Difesa del Senato, che lo conosce da anni, «in lui si uniscono gentilezza e fermezza».

Viva i carabinieri e viva Raffaello.

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