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In metrò col cuore in gola

In metrò col cuore in gola

nostro inviato a Londra

Il giorno dopo non è fresco e così bello come si sperava. Il giorno dopo è grigiastro nel colore del cielo e aspro nel sapore dell’aria, è un insieme di strane sensazioni che si appiccicano sulla pelle. Quando il Big Ben suona le nove, Londra è già sveglia da un pezzo ma guarda verso i cancelli dell’underground. Sono di nuovo aperti, accese le luci, funzionano le biglietterie, i chioschi dei giornali sono tappezzati delle fotografie di morte e sangue, la voce dell’altoparlante avvisa che non tutte le linee sono praticabili. La Piccadilly Line, quella di colore blu, si ferma ad Hyde park Corner, poi il silenzio, fino ad Arnos Grove. Così la Gialla, Circle line e Hammersmith, e la Viola, la Metropolitan tra Baker street e Aldgate, e ancora la Verde, District Line tra High street Kensington e Edgware. Poi King’s Cross St Pancras non ha nemmeno aperto. Una ragnatela lacerata, strappata via con le bombe del sette luglio.
I pendolari, i commuters, chiedono informazioni, i poliziotti e il personale di servizio della London Transport, spiegano, e suggeriscono soluzioni alternative. I commuters hanno scelto altre strade, l’automobile di gruppo, il bus, evitando la corsa veloce nel buio sottoterra, Ken Livingstone, il sindaco di Londra, ha sospeso fino a lunedì la tassa d’ingresso alle auto nel centro della capitale, 8 sterline, 12 euro risparmiati nel nome dell’Inghilterra.
Non c’è tensione, non ci sono polemiche. Quella vecchia signora che sembra miss Marple, sono tutte uguali le vecchie signore inglesi, trascina il trolley carico di carta straccia, vuole andare a Buckingham, non si sa come, non si sa perché, mostra il percorso su una mappa accartocciata, le danno ugualmente retta e tempo. Due sterline, il biglietto base, si passa il varco, si scende di un piano, la banchina non è affollata ma comunque è una macchia scura del popolo viaggiatore, impiegati con cravatta, studenti in jeans, mamme con il pupo, anziani con l’impermeabile in terital, turisti vestiti da turisti. Non troppi, non molti. Maria e José vengono da Alicante, vogliono andare a Liverpool street, la stazione è quella affumicata dalla bomba, chiusa, circondata ancora dai cordoni della polizia investigativa: «Non abbiamo paura, ieri stavamo entrando in metropolitana a Gloucester quando abbiamo visto la gente correre fuori, abbandonando la stazione, qualcosa doveva essere successo, ci hanno detto che si trattava di un guasto alla linea elettrica. Poi abbiamo saputo delle bombe ma oggi andiamo, il giorno dopo è sempre tranquillo, ormai quello che doveva accadere è accaduto».
Un sibilo, il frastuono, rumore di ferraglie, la luce, il treno sbuca dal tunnel, è un proiettile, frenata, lunga, i vagoni non sono strapieni, il soffio dell’apertura delle porte è il primo round con la paura, si resta in piedi nonostante le poltrone di stoffa bluastra (ma quali sono le generalità del tappezziere?) siano libere; si richiudono le porte, si parte, scambi di occhiate, tentativo di un sorriso, la ricerca di un cenno di solidarietà, c’è un giornale strappato sul pavimento, qui qualcuno aveva posato la sacca con l’esplosivo, dieci libbre, cinque chilogrammi, riferisce la polizia. Una, due, tre fermate, il treno della linea blu non va oltre. L’uscita è come una liberazione, si va via veloci, fuori, Hyde park è il paradiso terrestre ma Londra ha un’aria ambigua, il week end stavolta è l’occasione di fuga, a bonificare il corpo, gli occhi, anche lo spirito. La British Transport comunica che il numero di passeggeri è calato, si ipotizza trenta-quaranta per cento, le bombe hanno svuotato la pancia della città.
Prima di mezzogiorno scatta l’allarme a Euston, qualcuno ha visto un pacco abbandonato. Un cane poliziotto ispeziona, annusa, ronza attorno all’involucro, cambia strada, nulla, allarme rientrato. Il suono della sirena di un’ambulanza è una nuova scossa al cuore e al cervello, basta per riavvolgere il nastro di quelle immagini di dolore, la maschera bianca a proteggere il volto ferito di una donna, il sangue sul viso e sulla camicia di un manager della city, il fumo e la polvere.
A Liverpool street mazzi di fiori davanti al cancello di ingresso dell’underground, su un foglio di carta bianca cinque righe dedicate agli amici e ai parenti di chi se ne è andato in quella mattina maledetta, William è la firma, un londinese qualunque ha scelto il profumo dei fiori per scacciare l’odore acre delle bombe.

Altri garofani e una preghiera mentre passa un bus a due piani. Londra sopravvissuta cerca di tornare a vivere
Tony Damascelli

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