Cultura e Spettacoli

Mia, la star che parla le lingue del pop

Esce "Maya", il nuovo cd della cantante nata a Londra da genitori cingalesi (suo padre è stato una "tigre Tamil"). I critici dicono: "Il futuro è suo". E "Time" l’ha appena inserita nella lista tra le 100 persone più influenti del mondo

Mia, la star che parla le lingue del pop

Intanto classificarla non serve neanche un po’. Niente etichette, con Mia il giochino funziona poco perché lei, e lo confermano tutti i critici, canta la «musica del futuro», destinata a finire nel magma della rete, mica nelle caselle cementate dei vecchi negozi di dischi. D’altronde basta ascoltare giusto qualche canzone del nuovo cd Maya (su XL Recordings) per rendersene conto: c’è di tutto, in un colossale giro d’orizzonte che unisce tutte le musiche del mondo, dal rock, quello duro, fino alla dance e pure al cosiddetto funk carioca, declinandole in una lingua nuova e provate a decifrarla. Tanto per dire, il singolo (quello che seguirà il successone di Paper planes di un paio di anni fa) si intitola XXXO (pronuncia exexexò) e mescola una grana electrodance con una vocina che pare quella di Britney Spears ma accidenti quanto è sensuale, viziosa, angosciata. E se poi ascoltate Meds and feds, ci troverete la cattiveria chitarrosa e utopica dei Clash, mentre It takes a muscle piacerebbe pure all’ultrasettantenne Lee Scratch Perry, uno che ha spiegato il reggae a Bob Marley. E poi, per dire, il dub di Lovalot quasi quasi sembra prodotto sui set di Bollywood. È il crossover, ecco, il vero macramè stilistico che non conosce la classificazione di genere musicale, quella roba ormai più fuori moda delle cravatte regimental.

E in fondo pure lei, che dopodomani compie trentacinque anni, è sostanzialmente senza passaporto artistico, libera come poche altre in questo momento. È nata alla periferia di Londra, i suoi genitori sono cingalesi così duri e puri da imporle un nome della tradizione, Mathangi, che unito al cognome impronunciabile, Arulpragasam, le ha consigliato di ribattezzarsi Mia, che sta per «missed in action» e insomma indica quelle persone disperse durante un’azione militare.
Lei se ne intende.

Suo padre è una tigre tamil, per decenni ha lottato per l’indipendenza dallo Sri Lanka, sbatacchiando di qua e di là la sua famiglia e distillando in Mathangi una bella voglia guerrillera. Per spiegarci, il video di Sunshowers è stato bandito da Mtv perché contenente riferimenti all’Olp di Yasser Arafat. «Lei cerca di fare politica e, contemporaneamente anche arte: ha funzionato per i Clash e, se funzionasse anche ora, sarebbe un segno più importante di quello che ci immaginiamo» ha scritto il Los Angeles Times. In realtà, «io non ho proprio nessuna formula prestabilita», spiega lei, Mia, che ha un caratterino mica da ridere come sa bene chi l’ha vista sul palco, tutt’altra roba rispetto al suo visino dolce da hostess della business class. Essendo impossibile definirla, bisogna sfruttare i paragoni più cheap. Mia è come l’ultima Nazionale di calcio della Germania, quella con la samba di Cacau o l’ozan turco di Ozil, una sola uniforme per tante culture diverse. E, volendo, questo è davvero il futuro della musica leggera: rispettare la tradizione, mica negarla, e adattarla alla metrica di oggi, alle mitragliate di bit, alla scansione senza fiato che ormai irregimenta tutto, dalle news alle ordinazioni al supermercato.

E allora per forza a dicembre Time l’ha inserita tra le cento persone più significative del mondo, di fianco a Obama a Oprah Winfrey a Steve Jobs, per la sua «influenza globale». E un mese dopo l’Academy ha candidato come miglior canzone originale la sua O... Saya (dalla colonna sonora di The millionaire). Lei, che ha iniziato a scrivere musica quasi per caso ma poi è diventata pure produttrice e disegnatrice di moda, non si è neanche scomposta: «Mi basta essere onesta con me stessa».

Bugia: in realtà vuole anche gridarlo al mondo, così (e in Maya si capisce come).

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