Cronaca locale

A 83 anni, è il designer più gettonato del Fuorisalone

Girovagando tra le centinaia di mostre istituzionali ed esposizioni occasionali del fuori Salone, può succedere di imbattersi in un oggetto che spicca nel caos per singolarità e freschezza, di cercare di sapere chi è il giovane designer che l'ha ideato e di scoprire che la risposta è quasi sempre la stessa: Alessandro Mendini. Proprio lui, Mendini, che alla soglia degli 83 anni non ci pensa proprio a fare il decano della scena progettuale italiana.
Le sue creazioni in questi giorni a Milano sono dappertutto, e sono davvero le più vive, le più giovani, quelle con più personalità. Sia che si tratti dei pezzi degli anni '70 presenti nella mostra Bracciodiferro alla Biblioteca dell'Incoronata in corso Garibaldi, sia della lampada Amuleto disegnata quest'anno per l'azienda coreana Ramun ed esposta nella vicina Galleria Jannone. Per non parlare della Triennale, del Superstudio, del quadrilatero della moda e naturalmente del Salone, e di parecchi altri luoghi in cui Mendini c'è, e soprattutto si vede. Un designer presenzialista e, magari pure stakanovista? Macché, «lavoro lentamente, non mi faccio certo stressare dai ritmi della produzione - risponde serafico al Giornale - e non ho neppure ancora fatto un vero giro per il Salone e il fuorisalone. Di solito aspetto gli ultimi giorni per muovermi». Ma fino alla Fabbrica del Vapore c'è andato: lì infatti è in corso Bla Bla, una mostra internazionale di progetti autoprodotti simili «a fiori, a bucaneve che spuntano inattesi nel prato del design», come li definisce il curatore, cioè lo stesso Alessandro Mendini.
Già perché, non si sa come, ma il designer milanese trova sempre il tempo per occuparsi delle realtà apparentemente marginali della scena mondiale, che per lui invece risultano centrali. «Consiglio calorosamente la lettura dell'ultimo numero della rivista Abitare. Al suo interno c'è un lungo dossier sulle accademie alternative di design che stanno fiorendo in varie nazioni, spesso alle periferie del mondo. Si tratta di piccole scuole-laboratorio in cui progettare e allo stesso tempo creare. Gli studenti sentono un bisogno quasi antropologico di far lavorare anche le mani, oltre che il pensiero, ma tutto ciò può avvenire solo in contesti nei quali l'apprendimento è libero da schematismi e burocrazia».
E le scuole di design italiane, e quelle milanesi in particolare? «Sono sempre più burocratizzate, sempre più sclerotiche, vivono in un eterno declino. Andrebbe terremotato l'intero impianto didattico, bisognerebbe sottrarre i professori all'addormentamento, alla passività nei confronti dei modelli di marketing vincenti». Lui il suo contributo per rendere il design più libero e più «libertario» - un aggettivo che ricorre nella conversazione - lo sta dando anche attraverso Tam Tam «la nuova scuola, anzi non-scuola, che ho fondato insieme con Riccardo Dalisi e Alessandro Guerriero. I docenti - tra cui figurano anche Maurizio Cattelan e Franco La Cecla, - insegneranno gratuitamente e gli studenti restituiranno quanto ricevono sotto forma di volontariato presso associazioni senza scopo di lucro. Le lezioni si terranno inizialmente alla NABA, ma anche in altri luoghi».


Per Mendini si tratta di «una splendida utopia, una scuola in cui la struttura didattica è completamente disarticolata al fine di dare spazio a una miscellanea di nozioni libertarie»: ovvero di tutto ciò che il design ha bisogno per non smettere di essere giovane.

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