Cronaca locale

Addio a Caprotti, medico che curava anche il «milanes»

Il 2 giugno 1977 Giorgio Caprotti era di turno. Al Fatebene. Era giovedì ed era festa. Ma questo conta poco. Quel medico, che non arrivava ai cinquanta, fece uno degli incontri più importanti proprio quel giorno. In corsia giunse un paziente illustre. A Indro Montanelli avevano appena sparato alle gambe. Tra via Manin e piazza Cavour, dove allora aveva sede Il Giornale . Franco Bonisoli, Lauro Azzolini e Calogero Diana lo bloccarono. Quest'ultimo sparò otto colpi alle gambe del direttore che fu trasportato proprio al Fatebene.

E a curarlo fu lui, per noi tutti, «el dottor». Perché, da allora, Giorgio visitò la redazione del Giornale con passione e sano paternalismo. Spontanea bontà. Come se, in fondo, fossimo tutti figli suoi. Ne aveva visti a generazioni. E non lesinava, accanto a diagnosi e terapie, i sani consigli della nonna. Gli stessi che costellavano tanti suoi articoli su detti, usanze e vie milanesi. Lui che della «lingua milanese» era un cultore. Un purista.

Lui che insegnava all'Università della terza età. Lui che di libri ne aveva pubblicati molti. Lui che sul Giornale aveva scritto per quasi quarant'anni. Una rubrica che cambiava cadenza. E argomenti. Ma è rimasta sempre quella. Dedicata a una Milano che non aveva segreti per «el dottor». E lui l'ha sempre ricambiata di un amore profondo. Indissolubile. Ancora due anni e avresti doppiato i 40 di militanza giornalistica. Poco meno di metà della tua vita intera. Tu che in verità facevi il medico. Te ne sei andato prima. In punta di piedi come nel tuo stile. E ci mancherai.

Anzi, ci manchi già.

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