Cronaca locale

Addio a Morris Ghezzi massone e socialista anima dell'Umanitaria

Scomparso a 66 anni, era giurista e politico L'orgoglio di appartenere al Grande Oriente

Luca Fazzo

«Il carissimo fratello Morris è passato all'oriente eterno». Così, con la formula classica dei liberi muratori, la massoneria milanese annuncia ieri la scomparsa di uno dei suoi esponenti più in vista: anzi, uno dei pochi che in questi anni abbia portato la appartenenza massonica nella vita politica e accademica senza timidezze, e anzi rivendicando di poter essere contemporaneamente un grande giurista, un politico e un «grembiulino».

Morris Ghezzi, docente di Sociologia del diritto alla Statale, viene portato via da un male incurabile a sessantasei anni appena compiuti. Era sofferente da tempo, e appena pochi giorni fa a Rimini la Gran Loggia - la convention annuale della massoneria italiana - era stata dedicata dal gran maestro Stefano Bisi «al fratello Morris Ghezzi che oggi sta combattendo la sua battaglia per la vita». Niente da fare, purtroppo.

Radicale, poi socialista; del Psi milanese era stato persino segretario per una manciata di giorni, quando ci voleva coraggio, nei mesi tempestosi in cui sotto l'onda di Mani pulite il partito cercava disperatamente (e invano) di sopravvivere: si dimise dopo quattro giorni, perché - disse - «ho trovato più attaccati alla poltrona che al partito». Ma continuò a sentirsi uomo di sinistra laica, e a vivere con questo stesso spirito anche l'appartenenza alla massoneria. A Affari Italiani, che gli chiedeva se non ci fosse una contraddizione tra le due militanze, snocciolò una serie di nomi di confratelli insospettabili di simpatie reazionarie: da Allende a Mitterrand. Anche se a legarlo personalmente all'ideale massonico erano figure più antiche, gli eroi liberali del risorgimento italiano a partire da Mazzini e Garibaldi.

Radici culturali a parte, la doppia militanza di Ghezzi era riassunta perfettamente dall'istituzione milanese di cui è stato per anni una delle guide, ovvero l'Umanitaria. Fin dalla fondazione nel remoto 1893, d'altronde, la società che ha come obiettivo statutario «mettere i diseredati, senza distinzione, in condizione da rilevarsi da sé medesimi, procurando loro appoggio, lavoro ed istruzione» è stata di fatto una emanazione della massoneria e della sua vocazione sociale, per non dire socialista: massone era il suo fondatore, il commerciante Prospero Moisè Loira; massoni e di sinistra sono stati quasi tutti i suoi dirigenti (basti pensare a Massimo Della Campa, avvocato e comunista). Ghezzi era uomo di questa cultura e questa estrazione, con buona pace di chi a sinistra guarda ai liberi muratori come a un clan di golpisti. Quando a Ghezzi chiesero cosa ne pensasse delle varie cosche scoperte negli ultimi anni dalla magistratura, e ribattezzate senza troppa fantasia P3, P4 eccetera, rispondeva sinteticamente: «Buffonate».

Date le premesse, la sua valutazione sullo stato della giustizia in Italia non poteva che essere severa, e ne tracciò un ritratto senza piaggerie in quella che è forse la sua opera più importante, Immagine pubblica della magistratura italiana, che ha come esergo una frase di Ehrlich: «La grande maggioranza degli uomini, per sua fortuna, conosce lo Stato, i tribunali, gli organi di autorità e il loro diritto solo quel tanto che basta per evitarli».

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