Cronaca locale

Aperta la posta multietnica dove si parla cinese e arabo

In via Lomazzo il primo ufficio plurilingue Tra via Padova e Bande Nere altre nuove sedi

Aperta la posta multietnica dove si parla cinese e arabo

Ziyi ha 16 anni, viene dalla Cina ed è l'unica tra i suoi parenti a capire l'italiano: la sorella 20enne, suo padre e suo madre, che sono assieme a lei nell'ufficio postale di via Lomazzo, accennano un sorriso senza riuscire a rispondermi quando chiedo loro come si chiamano. È probabile che siano in Italia da poco, infatti alla domanda «cosa stai compilando?» Ziyi risponde telegrafica: «permesso di soggiorno». Ma se questa famiglia ha capito quali moduli riempire e che cosa dovrà portare, poi, in Questura, per ottenere il permesso di soggiorno, è perché pochi minuti prima dall'altro lato dello sportello ha trovato qualcuno che parla la sua lingua: in questo caso Yanyan Wu, 26enne di origine cinese che da vent'anni vive in Italia (ad Alessandria, poi a Genova dove si è laureata in Economia).

Yanyan è una dei neoassunti da Poste Italiane spa «per soddisfare una domanda alla quale non si poteva non rispondere, è una questione proprio di mercato, d'incontro domanda/offerta», spiega Pietro Raeli, responsabile territoriale per la Lombardia. Da qualche giorno l'ufficio milanese di via Lomazzo è uno dei nove in tutta Italia con degli operatori poliglotti: gli altri sono a Roma (due, alla stazione Termini e in piazza Dante), e poi a Napoli, Bari, Firenze, Prato, Padova e Mazara del Vallo. Tutte città dove le etnie formano comunità popolose, con bisogni cui dare risposta. Così negli uffici, oltre all'italiano, si parlano cinese ma anche arabo, francese, inglese, spagnolo. La macchinetta gialla ha un tasto per ogni idioma: entri e prendi il numero in base a quello. Poco importa che tu debba ricaricare la postepay , inviare un pacco, aprire un conto, prelevare dal libretto. È la lingua a fare la differenza: ma più lingue annullano le differenze.

Non è un caso che il primo ufficio poliglotta in Lombardia sia proprio in piena Chinatown, a ridosso di quella via Paolo Sarpi dove le insegne cinesi hanno superato le italiane, dove i ristoranti asiatici convivono con vecchi bar e nuovi laboratori creativi. Anche se «l'idea è aprirne altri due a Milano entro la fine del 2015», annuncia Raeli. Vengono subito in mente via Padova oppure la zona attorno a Bande Nere, ma per ora di punti precisi sulla mappa la società non vuole indicarne. In via Lomazzo i nuovi assunti sono quattro, un quinto dipendente, che parla inglese, è stato spostato da un'altra filiale.

«Cerchiamo prima tra i nostri, ma in alcuni casi è difficile, come per l'arabo», ammette Raeli. Qui ci pensa Karim Laghribi, tunisino, che infatti oltre ad arabo e italiano conosce anche il francese. La direttrice dell'ufficio Maria Giovanna Lopez ammette che prima «c'erano forti difficoltà linguistiche, anche perché abbiamo ogni giorno circa 100 clienti stranieri». E osserva che il metodo dello smistamento per lingua «ha reso le file molto più fluide».

In questi primi giorni «i cinesi che arrivavano erano molto sorpresi», racconta Ilaria Capone, l'altra sinologa dell'ufficio, laureata all'Università Orientale di Napoli e assunta solo tre mesi fa dopo un periodo di studio anche a Pechino. «Poi hanno capito che siamo qui per aiutarli: adesso mi chiedono anche altre informazioni, ad esempio dove si trovano l'Anagrafe o la Questura, e credo che stiano facendo girare parecchio la voce anche tra di loro - ad esempio attraverso WeChat , che i cinesi usano molto più di Whattsapp - perché iniziano a venire qui persino da altri quartieri della città».

Twitter @giulianadevivo

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