Cronaca locale

Brandine, pasti e volontari: tra i profughi del Palasharp

Nel tendone di Lampugnano sono arrivati i migranti City Angels e mediatori: «Islamici? Nessun problema»

Paola Fucilieri

Ieri alle 15.30 sono arrivate 70 brandine. «Lunedì notte però non è che non volessimo far dormire i profughi per terra, non lo avremmo mai fatto: semplicemente questo è un luogo di culto, dove ogni venerdì ci sono 600 persone di fede musulmana che pregano. Vedi i tappeti? La comunità islamica è così gentile da offrirci lo spazio? E noi, se vogliamo mettere le brandine, dobbiamo almeno alzare i loro tappeti...I musulmani, devo essere sincero, non dicono niente se non lo facciamo, ma noi pensiamo sia una forma di rispetto. Però si tratta di un lavoro triplo, capisci? Così al momento, la prima sera, abbiamo messo i sacchi a pelo. Tutto qui».

Sergio Castelli, 70 anni - basco rosso calato sui capelli bianchi e maglietta rossa - è il vice presidente dei City Angels (e quindi di Mario Furlan) - non vuole che si parli di lui. «Io non faccio comunicazione» ci tiene a precisare molto seriamente.

Eppure qui a Lampugnano - a sistemare i 46 profughi di cui si parla e si scrive a profusione ormai da giorni - da sabato ci sono lui (volontario) e gli altri volontari, insieme alla protezione civile. Sudanesi, eritrei, pakistani, iraniani, afghani, dai 19 ai 25 anni (ma lunedì c'erano anche un 32enne e un 16enne). L'ultima volta i City Angels c'erano stati due anni e mezzo fa con i siriani. Così stavolta hanno dovuto pulire, riordinare, tagliare l'erba, sistemare le luci. E poi c'è una ditta che viene ogni giorno a pulire i bagni chimici.

L'uomo della protezione civile che ieri ha portato le brandine non è stato esattamente gentilissimo e ha preteso, seccato, di sapere «con esattezza quanta gente verrà stasera» (ieri per chi legge). «Per 40 persone ci vogliono gli stessi servizi che occorrono quando ce ne sono 200...Possiamo avere 50 profughi come ne possiamo avere un centinaio, il numero può variare» spiega rassegnato ma sempre cortese un volontario. Che alla domanda se si tratta veramente di una situazione provvisoria quella del Palasharp per i profughi, glissa con classe ma anche con decisione.

Castelli ha lavorato per 42 anni all'ufficio acquisti del Corriere della Sera. Quindi è stato vice direttore centrale della Provincia di Milano prima con Tamberi, ha ricoperto il ruolo di economo con Ombretta Colli e ha lavorato un po' (poco) con Penati. Al momento di creare la provincia di Monza, dove è nato, è tornato «a casa» dove ha aperto la protezione civile e la polizia provinciale. Poi sostiene di essersi fatto «fregare» (leggasi «convincere» da Furlan»).

Adesso qui al Palasharp ha quattro volontari che lo aiutano, tra cui una donna. Che sono tutti, lui compreso, sempre la quintessenza della serenità. In particolare Mohamed, un marocchino che parlando arabo è una risorsa di spessore in una situazione come questa.

Arrivano i ragazzi del centro culturale islamico. Portano le chiavi per aprire un magazzino che servirà per le prossime sere. Si tratta di un ripostiglio sporco e senza luci. Ma Sergio non si lascia scoraggiare e organizza i lavori di pulizia e ripristino dell'illuminazione. «Gli islamici sono contenti che siamo qui perché gli teniamo il posto pulito, a posto - spiega Castelli - sanno che siamo gente per bene».

«I ragazzi lunedì sera erano contenti quando sono arrivati qui - precisa ancora Sergio -. In sei sono venuti sul nostro pulmino, una ventina in metrò fino a Lampugnano e gli altri li hanno portati con i mezzi dall'hub. Alcuni avevano mangiato là. In via Sammartini, altri si sono portati il sacchetto e hanno consumato il pasto qui fuori, seduti sulle seggiole.

Per le prossime sere ci siamo organizzati con delle mele perché qui non potrebbero mangiare».

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