Cronaca locale

La breve guerra di Adrì per un'arte "senza sesso"

Dagli archivi dell'Arengario un'antologica sulla pittrice Bisi Fabbri, outsider del Novecento

La breve guerra di Adrì  per un'arte "senza sesso"

«L'intelligenza non ha sesso: io sono, io voglio (lo capisce che voglio?) essere un'artista. Poi sarò, naturalmente, donna». La nota non fa parte del contemporaneo florilegio del movimento «Me Too», ma salta fuori dagli archivi storici del Museo del '900 come manifesto alla prima personale del palinsesto milanese dedicato all'arte al femminile. I riflettori si accendono sulla pittrice Adriana (Adrì) Bisi Fabbri, personaggio interessante ma sconosciuto ai più perchè anomalo nel panorama artistico degli inizi del '900. A questa bohémien di natura - e come tale morì di tisi - l'Arengario dedica un'antologica frutto del lavoro delle curatrici Danka Giacon e Giovanna Ginex che hanno riordinato il fondo Bisi Crotti di proprietà del Comune, traendovi prezioso materiale d'archivio che fa da sfondo alla mostra di circa duecento opere tra oli e disegni. I lavori grafici e pittorici dell'autodidatta ferrarese, nota fino ad oggi soprattutto per essere cugina di Umberto Boccioni (che infatti la ritrasse), provengono per lo più da collezioni private e dalla raccolta Crotti. In mostra prorompe tutta l'energia di un'artista che per essere riconosciuta come tale doveva sfidare anzitutto il sessismo, ma anchè la difficoltà oggettiva ad entrare in contatto con i cenacoli delle prime avanguardie europee. Adrì, come si era fatta ribattezzare, era un'autodidatta a tutto tondo che certo attinse dalle poetiche moderniste di inizio '900, ma rimase un cane sciolto in un panorama artistico che visse principalmente da spettatrice al fianco del marito Giannetto, giornalista e letterato. Fu infatti apprezzata dalla critica soprattutto per le sue doti di «caricaturista d'eccezione», linguaggio ben visibile nei ritratti in mostra e che la portarono negli anni di Milano e soprattutto di Bergamo, a collaborare con diverse testate, tra cui quel mussoliniano Popolo d'Italia di cui condivise la linea interventista.

A Milano, dopo anni trascorsi a Padova lavorando come ricamatrice, si trasferì vestita da uomo. Così la descrisse Arturo Rossato sul Popolo d'Italia: «Le seccava un poco d'essere donna. L'aveva presa una voglia matta di far chiasso, di far presto, d'essere la prima ad arrivare dio sa dove - non lo sapeva neppur lei - voleva strappare il suo avvenire a brancate (...). Perciò Adrì si vestiva volentieri da uomo, mettendo così in caricatura il suo e l'altro sesso». Galeotta fu la sua spedizione alla Biennale di Venezia del 1905 in compagnia, sempre come spettatrice, di Cecilia e Amelia Boccioni. Fu una sorta di folgorazione suscitata soprattutto dalla vista delle opere dei maggiori esponenti italiani tardo ottocenteschi come Gaetano Previati che visitò nello studio milanese non senza assorbirne il gusto nel tratto e nei colori. Adrì non smise mai infatti di disegnare e di dipingere - prevalentemente ritratti - con uno stile deciso ed essenziale che in alcune opere richiamano accostamenti al secessionismo viennese e, in generale, all'espressionismo mitteleuropeo. Non mancò di esporre i suoi quadri, tra il 1913 e il 1914, in alcune mostre organizzate soprattutto a Torino dopo il successo della sua partecipazione a Frigidarium, mostra internazionale di umorismo organizzata al Castello di Rivoli. Al Museo del '900, oltre alla vasta documentazione d'archivio che comprende i carteggi con il marito Giannetto, sono in mostra anche le interessanti vignette satiriche pubblicate dal Popolo d'Italia sull'Europa alla vigilia della guerra.

Di cui fece in tempo a vedere le rovine, prima di morire proprio nel maggio del 1918.

Commenti