Cronaca locale

«Carcere a vita per Cozzi: libero ucciderebbe ancora»

Chiesto il massimo della pena per il conduttore tv Nel 2011 aveva eliminato il socio della sua azienda

Luca Fazzo

Quando nel 2011 aveva ammazzato il suo ex socio, Alessandro Cozzi se l'era cavata con poco: quattordici anni di carcere, una pena decisamente mite di fronte alla valanga di coltellate con cui aveva massacrato Ettore Vitiello, colpevole di pretendere i 17mila euro che gli doveva. Ma ieri su Cozzi - uomo di chiesa e di cultura, e speriamo di risorse umane, conduttore di programmi tv - piomba una nuova richiesta che potrebbe chiudere per sempre su di lui le porte della cella. Tredici anni prima di ammazzare Vitiello, Cozzi - dice il pubblico ministero Maurizio Ascione - aveva già ucciso: anche lì la vittima era un uomo con cui lavorava, l'imprenditore Alfredo Cappelletti. Una morte allora archiviata come suicidio, dopo una indagine di cui ora sono emerse tutte le lacune e le superficialità. Cozzi è stato portato nuovamente a processo. E ieri il pm Ascione ha presentato la sua richiesta: ergastolo. Cozzi, dice il pm, è un uomo pericoloso, pronto a colpire ancora se tornasse libero. E il suo delitto, che con freddezza coprì dietro la messinscena del suicidio, non merita attenuanti.

Era una domenica sera del settembre 1998, quando Cappelletti venne trovato morto nell'ufficio della sua azienda, la Innova Skills, in via Malpighi. A trovarlo con il coltello ancora in mano era stato proprio lui, Cozzi. All'archiviazione come suicidio, i familiari di Cappelletti non avevano mai creduto. Dopo il nuovo delitto, nel 2011, avevano ottenuto che il fascicolo venisse riaperto. La Procura era dubbiosa che a tanti anni di distanza si potessero trovare prove. Ma un giudice dispose il processo: le «assordanti analogie» tra i due delitti, scrisse, indicavano senza ombra di dubbio uno stesso colpevole. Cozzi.

Ieri, prima che il pm pronunciasse la sua arringa, Cozzi per la prima volta ha scelto di raccontare la sua verità su questo caso. Andandosi a sedere davanti alla corte d'assise presieduta da Giovanna Ichino, ha ripercorso la sua lunga amicizia con Cappelletti: «Ci siamo conosciuti in oratorio, io ragazzo, lui animatore. Il nostro rapporto si è esteso alle fidanzate, poi diventate le nostre mogli. Abbiamo costruito una amicizia solida, che durava nel tempo».

Cozzi legge con calma, con proprietà di linguaggio, le pause giuste dell'uomo da telecamera. Sa che la sua unica speranza di salvezza è convincere la corte che Cappelletti si uccise davvero. «Lui era molto a disagio con se stesso, sentiva esaurito il suo matrimonio e la cosa lo faceva stare male. A giugno aveva avuto un episodio ischemico, si era ripreso ma era molto spaventato. Cercava di non darlo a vedere, ma interiormente c'era questa cupezza di fondo».

La domenica mattina i due s'incontrano all'uscita da messa, parlano a lungo, poi si ritrovano nel pomeriggio. «Lo accompagnai in ufficio e lì parlammo a lungo. Lui aveva annunciato alla famiglia la sua intenzione di abbandonarla. Io forse sono stato un po' duro, l'ho rimproverato perché lasciare la famiglia non era da lui e non era la soluzione dei suoi problemi. Mi disse che voleva pensarci e mi chiese di lasciarlo solo. Fino alla fine dei miei giorni mi porterò il rammarico di avere acconsentito a questa richiesta». Quando alle sette di sera tornai in ufficio, dice Cozzi, Alfredo si era ucciso.

Bugie, dice il pm: una lunga serie di bugie per nascondere la verità. A ucciderlo era stato lui, Cozzi, inferocito perché Cappelletti si preparava ad allontanarlo dalla ditta dopo averne scoperti gli illeciti. E la pena può essere solo l'ergastolo. Nelle prossime udienze parlerà la difesa, poi la sentenza.

Non facile.

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