Cronaca locale

Celeste Moratti attrice «Il teatro è la mia vita e in scena sarò Medea»

La figlia di Massimo e Milly con attori disabili «L'arte nel sangue, il nonno violino alla Scala»

Antonio Bozzo

A Celeste, quarantacinquenne figlia di Milly e Massimo Moratti (il petroliere che era padrone dell'Inter), viene da chiedere come mai ha preferito la visibilità delle scene invece di una carriera, forse oscura, di potente manager. «Il teatro è una carriera oscura. La visibilità sta intorno al 2 o 3 per cento, il resto è duro lavoro». Celeste è appena sbarcata da New York, dove vive. Stasera alle 21 va in scena al Franco Parenti, unica data, con «Medea», ideato e diretto da Dario D'Ambrosi. Con la protagonista Moratti, recitano Sebastiano Somma (Creonte), Paolo Vaselli (Giasone), Morgana Forcella e Michela D'Ambrosi (Glauce) e un gruppo di ragazzi disabili - o diversamente abili, come si dice oggi - del Teatro Patologico romano. «Un ragazzo del Patologico, meravigliosa realtà messa in piedi da D'Ambrosi, ha detto il vero: Medea è una sorta di disabile, ostracizzata - dice Moratti - La interpreto tenendone conto. Lo spettacolo è forte e crudo, come la vicenda. Una donna che uccide i propri figli. Prima di diventare mamma mi sconvolgeva, ma non più di tanto. Ora, che ho un figlio, il disagio aumenta». Disabili in scena fa venire in mente il teatro-terapia. «Non lo è. La disabilità crea voci anche più libere. I ragazzi sono veri attori. E io porto in scena i miei demoni. A New York ho una compagnia, il teatro è la mia vita». Quando scoprì, Celeste, prima dei cinque figli Moratti, la propria strada? «Quando frequentavo il Parini. Vidi Pinocchio e Trilogia della villeggiatura al Piccolo: mi bastò per capire che quel mondo sarebbe stato il mio. Ma un po' di teatro ce l'ho nel sangue, mio nonno da parte di madre era violinista alla Scala». Anche le partite di calcio sono teatro, ma Celeste non è donna da stadio.

«Medea», progetto partito da Roma nel 2009, ha avuto successo a Tokyo e New York e andrà all'Onu. È recitato in greco antico, lingua della tragedia di Euripide, e in italiano, con musiche originali di Francesco Santalucia. «Ci sono diversità rispetto all'originale», sottolinea Moratti. «Qui il coro è un alleato che spinge Medea alla vendetta». Dopo Medea, che farà Moratti? «Una regia del Macbeth, con la mia compagnia. Poi ho un bel progetto con l'amica Andrée Ruth Shammah: seminari in inglese al Parenti su Shakespeare, rivolti a giovani attori e gente del mestiere. Il respiro della lingua originale è importante. Shakespeare è la mia ossessione da 15 anni».

Di autori italiani, per adesso Moratti non ne mette in scena. «Il mio sogno? Portare il teatro di Dario Fo e Franca Rame, tradotto in inglese, negli Stati Uniti. Fo è conosciuto, ma lo amano quelli che seguono il Living Theatre e pochi altri. Un vero peccato».

A Celeste, laureata in Filosofia all'ombra del Duomo, Milano fa l'impressione di città piena di energia. «Ma non conosco bene la scena teatrale della città. Credo però che il teatro italiano abbia grandi potenzialità, più di quello americano. Negli Stati Uniti conta soprattutto staccare biglietti. Il lato artistico finisce in secondo piano».

La «Medea» di questa sera fa parte di questo «lato artistico».

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