Cronaca locale

Ceronetti e Moravia I grandi della letteratura «accendono» la scena

All'Elfo Puccini pièce sul poeta apocalittico Un'opera dello scrittore romano al Grassi

Ceronetti e Moravia I grandi della letteratura «accendono» la scena

Antonio Bozzo

Mancano le sue invettive contro il mondo attuale, follemente impegnato a sorpassare i già tragici incubi nei quali ci ha gettato la tecnocrazia. Manca la lingua apocalittica di Guido Ceronetti, che i giornali ospitavano di malavoglia, più per darsi una ripulita alla coscienza, che per convincimento culturale.

Il poeta, scrittore, traduttore, ebraista, marionettista Ceronetti, intellettuale con nessuna capacità di gestire la propria vita economica - godeva del sussidio Bacchelli, sennò sai che dolori -, unico italiano che suscitò al caustico filosofo Emil Cioran uno dei suoi «esercizi di ammirazione», è richiamato in vita con un recital all'Elfo Puccini, dal 29 ottobre al 3 novembre. Si tratta di una sorta di Cabaret Ceronetti, da un'idea di Elena Callegari, con Corinna Agustoni e la stessa Callegari. Le autrici si domandano: «Chi era Guido Ceronetti? Nessuno o quasi lo sa. Non lo sapevamo nemmeno noi. Ma quando abbiamo iniziato a leggere i suoi libri ci è divenuto caro per il tenero risentimento, qualcuno lo chiamerebbe cattiveria, con cui osservava l'animo umano attraverso la letteratura. Del suo Teatro dei Sensibili, itinerante e fatto di marionette, furono fedeli spettatori Fellini, Flaiano, Moravia». Cosa ci faranno vedere Agustoni e Callegari? Quel che di poetico e assurdo contengono due testi di Ceronetti usciti da Einaudi, nei quali il marchio a fuoco dell'autore è più visibile: i «Deliri disarmati» e «Nuovi ultimi esasperati deliri disarmati».

Meno dimenticato di Ceronetti, ma trascurato dai contemporanei, un mostro sacro di lunghe stagioni culturali: il romano Alberto Moravia. Al Piccolo Teatro Grassi il suo ultimo romanzo, «La donna leopardo», va in scena fino al 3 novembre, nella prima regia teatrale di Michela Cescon, che ne cura l'adattamento drammaturgico con Lorenzo Pavolini. Quattro personaggi - un giornalista, il suo editore, le rispettive mogli viaggiano in Africa, precisamente nel Gabon, dove il giornalista deve fare un reportage (ed è inutile ricordare che Moravia fu grande viaggiatore, e che le sue cronache africane sono ancora oggi istruttiva lettura). Quel continente, che somiglia al lato in ombra dei recessi di vizi (tanti) e virtù (poche) borghesi, porta i personaggi a trovarsi di fronte alla loro vera natura. «Ho sempre pensato», ha rivelato Cescon nelle note di regia, «che ogni scritto di Moravia avesse, magari nascosta, una matrice teatrale. C'è in ogni pagina un'attenzione agli spazi, ai luoghi, alla luce e ai dialoghi tipica del teatro». Il lavoro al Piccolo anticipa le celebrazioni per il trentennale della morte di Moravia, che cade nel 2020, e i novant'anni dalla pubblicazione del romanzo «Gli indifferenti», che nel 1929 fece conoscere Alberto Pincherle, vero nome di Moravia. In scena, Valentina Banci, Olivia Magnani, Daniele Natali, Paolo Sassanelli. Lo spettacolo è prodotto dal Teatro di Dioniso di Torino e dal Teatro Stabile del Veneto.

Spettacolo fino al 3 novembre (all'Elfo Puccini, Sala Fassbinder) è «I figli della frettolosa», testo e regia di Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari. Affronta la diversità, in particolare la cecità e il senso che riveste oggi il vedere, invasi da immagini come siamo.

Un coro di persone non vedenti, con i bastoni bianchi e gli occhiali scuri, diviene allegoria di un popolo cieco e smarrito.

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