Cronaca locale

Il conducente Albanese che fece lezione di tram nel deposito "Messina"

La rimessa fu un set pure negli anni Quaranta Poi la guerra e le bombe alleate lo distrussero

Il conducente Albanese che fece lezione di tram nel deposito "Messina"

Isa Miranda ci era venuta da Hollywood, Antonio Albanese da Olginate che sta in provincia di Lecco e non è una mecca. C'era di mezzo anche un secolo fra i due, il ventesimo per la milanesissima attrice, il XXI per il lariano. Lei si fermò a osservarli, i tram. L'altro volle addirittura guidarli. E ci riuscì. Ines Isabella Sampietro, superdiva anni Trenta, ci aveva provato. La sfida al cinema americano le regalò qualche film di discreto successo. Fu la guerra a riportarla a casa. E la seconda pellicola che girò, È caduta una donna del marito Alfredo Guarini, la condusse davanti al deposito dei tram di via Messina, poi nel settembre successivo - era il '41 - alla prima. Fu un'ora e mezzo di fischi d'invidia, ma questo lo appurò la polizia. Successivamente.

Una collega della Miranda, bocciata dal regista che preferì dare la parte a sua moglie, vantando amicizie altolocate nel regime fece comprare tutti i posti e mandò schiere di fischiatori per vendicarsi. Isa pianse. Poi si sfogò. «Le attrici fasciste possono tutto». Eppure vinse lei. Giocava in casa con un coniuge dietro la macchina da presa. Ma si lamentò. Raccomandazione contesa. Misteri di un posto di lavoro che ha sempre avuto i contorni del miraggio. E Albanese per non perderne nemmeno uno, volle farli tutti. Precario a tempo pieno. Rimpiazzo a 360 gradi. L'intrepido di Gianni Amelio fu una provocazione non colta dal pubblico, ma lui, l'Antonio, che si sveglia alla mattina e non sa che cosa farà, al deposito di Messina ci va... per contratto.

Si chiamano esigenze di copione. Albanese deve fare il conducente e non avendolo mai fatto, prende lezioni. Guidare il tram. Piccolo grande sogno di un bambino che saliva sul 12 per andare a scuola. Poi venne un regista, che nella fantasia di quel piccolo viveva su una stella. E realizzò il sogno. Bacchetta magica metropolitana. L'Antonio nella finzione e nella vita andò a scuola da Angelo, che ha insegnato a mezza Atm i segreti di quella ferraglia che scorre nelle vene della città. «Se l'è cavata bene, nonostante il corso accelerato» ha commentato lui. «La gente. Il suono. La posizione in alto. Scorci unici. È incredibile guidare il 19» aggiunse poi l'allievo.

Il deposito di via Messina ha una lunga storia. È il più antico di Milano e ha compiuto un secolo. C'era già nel 1912 quando a costruirlo fu l'ingegner Foscarini, passato come una meteora nel panorama degli architetti. E oggi dimenticato. Lo progettò per conto della Edison che allora gestiva il trasporto urbano. Cinque anni dopo passò al Comune e fu un fatto storico. Privatizzazione al contrario. Passò all'amministrazione pubblica dopo essere stata in una culla privata. In quei lontanissimi anni Dieci, prima dello scoppio della Grande guerra c'era la circonvallazione. Il 29 in senso antiorario, il 30 in direzione inversa. Dopo oltre cent'anni, stesso giro. E stessi numeri.

Anche i biglietti avevano costi diversi. Con il colore cambiava anche il prezzo. All'improvviso si sentiva una voce. Sciôri, finiss el ross e comenza el verd. Non era la sveglia al tranviere addormentato ma alla gent, quella che proseguiva e doveva pagare la tariffa successiva. Nel '31 anche il Comune passò la mano. S'inventò l'Azienda tranviaria municipale, quella che per tutti è rimasta l'Atm. Le vetture erano corte, verdi come le bottiglie e i sedili erano di legno laccato. Anni fascistissimi di rigore e disciplina. I trasgressori erano puniti, ma non ce n'era bisogno. Pagavano tutti. E tutto era pulito. Dal '38 arrivò pure il primo impianto di lavaggio automatizzato. Acqua in pressione e asciugatura. Di personale non ne serviva anche se all'epoca alcune centinaia di addetti prendevano servizio ogni giorno. Quell'edificio a forma di V con il vertice in via Messina e due ingressi in via Monviso e via Tartaglia, interamente in ferro con copertura a vetri che rende inutile l'uso della luce piacque anche agli alleati e non certo per ragioni estetiche.

Divenne un obiettivo militarmente strategico e pagò un prezzo altissimo. Nella notte fra il 12 e il 13 agosto scoppiò la bufera più violenta che Milano ricordi in oltre un secolo. L'incursione aerea colpì gli obiettivi e il deposito, come il quartiere Garibaldi in generale, ebbe gravi conseguenze. Una miriade di bombe e spezzoni incendiari ne minarono la struttura. All'indomani del conflitto, come in altre parti della città, ugualmente ferite dall'epilogo bellico, si intervenne per ricostruire le parti distrutte. Tram continuarono ad entrare e uscire, percorrendo quotidianamente quella che era diventata una via crucis.

E questo fu un piccolo miracolo.

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