Cronaca locale

Un coro dall'Estonia per le note di Pärt tra spiritualità e ricerca

A 21 anni dalla Prima il «Kanon Pokajanen» nella Chiesa della Passione. Dirige Putnins

Un coro dall'Estonia per le note di  Pärt tra spiritualità e ricerca

Che la musica estone sia ormai di «casa», più vicina a noi, è un fatto acclarato. Già, proprio così. Di quando in quando in rassegne, kermesse e iniziative ad hoc spuntano autori, composizioni e complessi della terra di Tallin, la capitale del Paese baltico. Si ricorda ancora l'arrivo a Milano, nell'ambito di MiTo, correva il 2017, de La Tallin Chamber e l'Estonian Philharmonic Chamber Choir. Dunque, le operazioni di avvicinamento sono in atto, continuano. Ecco un'altra riprova stasera, nell'ambito del festival internazionale «Milano-artemusica» - alla tredicesima edizione - direttore artistico Maurizio Salerno: dalle ore 20.30 nella Basilica di Santa Maria della Passione ci sarà uno dei più suggestivi concerti del cartellone con appunto il Estonian Philharmonic Chamber Choir diretto da Kaspars Putnis che eseguirà il «Kanon Pokajanen» del compositore Arvo Pärt, a 21 anni dalla prima interpretazione assoluta.

Composto nel 1996-97, il pezzo («Canone penitenziale») è stato il brano celebrativo per i 750 anni dalla posa della prima pietra della Cattedrale di Colonia e rappresenta, secondo quando dichiarato dall'autore, l'esito di un assiduo corpo a corpo, durato oltre due anni, con un testo che l'aveva da tempo affascinato, al punto da fargliene comporre alcune sezioni, in lingue diverse, in due lavori autonomi: «Nun eile ich...» e Memento, rispettivamente nel 1990 e nel 1994. La prestigiosa commissione tedesca diede a Pärt l'impulso decisivo ad affrontare nel suo complesso un testo in cui convergono questioni linguistiche e spirituali di grande momento. Importante insomma, la parola. Per Pärt, infatti, «ogni lingua possiede, per così dire, un suo mondo ben connotato, con la sua storia, il suo carattere, la sua intonazione e molte altre associazioni». Riflessioni che ricordano le ricerche condotte un secolo fa da Leos Janácek e approdate al capolavoro della «Messa glagolitica» (1926-27). Ma vediamo la struttura.

Articolato in una serie di odi, intercalate da due testi autonomi (Kontakion ed Ekos) e coronate da una preghiera dopo il canone, che si ricollega al quadro liturgico più ampio. Al suo interno, ciascuna ode è aperta da un irmos, seguito da quattro strofe innodiche, i tropari, l'ultima delle quali è invariabilmente un theotokion, cioè un inno alla Vergine. Le diverse strofe sono poi intercalate dall'invocazione «Abbi pietà di me», che ritorna ossessivamente quale autentico cuore del messaggio dell'intero canone, e dalla dossologia «Gloria al Padre». Due parole sull'autore.

Dopo gli esordi, in cui il suo linguaggio utilizzava tecniche come la dodecafonia e il collage, fu coniato proprio per la sua musica il termine di «minimalismo sacro», di cui è un riconosciuto esponente assieme ad autori come Henryk Górecki e John Tavener. È un compositore apprezzato anche e soprattutto per la semplicità dell'ascolto e la trasparenza emotiva delle sue opere, ed è uno dei più ascoltati al mondo.

Nel suo Paese un personaggio di spicco, tanto che è stato costruito un centro-culturale a lui dedicato.

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