Cronaca locale

"Curarsi delle periferie non è solo farci colazione"

Il filosofo e assessore con Albertini boccia Sala. "Le zone degradate scommessa persa della sinistra"

"Curarsi delle periferie non è solo farci colazione"

Stefano Zecchi, filosofo, scrittore, assessore alla Cultura del Comune nella giunta Albertini. Com'è Milano oggi?

«A mio parere quello che è stato fatto a Milano è poco o niente. Milano è una città che va avanti da sola e si può solo migliorarla un po' o peggiorarla.

L'amministrazione Sala cosa ha fatto?

«Non ha migliorato assolutamente niente e vedo, soprattutto per quel che riguarda la cultura, la mobilità e la sicurezza che si è andati avanti come alla deriva, senza nessun impegno, senza nessuna presa di posizione in proposito».

Cosa intende con deriva?

«Milano ha una sua energia, una sua capacità imprenditoriale che non dipende da decisioni amministrative particolari, come per esempio accade a Venezia. Milano ha una sua autonomia dal punto di vista dell'impresa, del lavoro, della cultura».

Il Covid ha interrotto questo processo...

«La pandemia dovrebbe diventare un'occasione per voltare pagina, ripartire e capire cosa di nuovo e di importante si potrebbe fare proprio perché la città adesso ha bisogno di riorganizzarsi».

Di fronte a una sfida epocale come quella della pandemia, l'amministrazione avrebbe potuto giocare un ruolo importante...

«Un'amministrazione deve avere la capacità di coordinare le energie, rilanciarle e potenziarle».

Sulla cultura lei dice che non è stato fatto nulla...

«Si vede che non è stato fatto un granché nell'ambito culturale. Penso a tutto ciò che riguarda il mondo delle scuole civiche: ci sarebbe bisogno di potenziarle, di ascoltarle. Un sindaco deve sapere ascoltare e capire dove deve intervenire per premiare e sostenere quello che invece sta andando avanti per i fatti propri. Prendiamo le grandi istituzione come il Teatro alla Scala, il Piccolo Teatro, la Verdi: vanno tutte rilanciate dal momento che hanno perso completamente la capacità di imporre il loro brand sulla città, ma non per colpa loro. Non è che loro siano incapaci, ma sono state in qualche modo lasciate al loro destino. Poi bisogna lavorare sulle periferie».

Cioè?

«Per esempio è inutile portare la Scala in periferia, bisogna portare delle esperienze musicali, sempre gestite dalla Scala, in zone dimenticate e sollecitare interesse e suggestioni per i cittadini. E lo stesso discorso vale per il teatro».

Cosa avrebbe potuto fare il Comune per sostenere il mondo della cultura in un momento di crisi come questo?

«Un'amministrazione ha il compito di ascoltare quello che viene problematizzato in una città, deve essere capace di fare sintesi, di sostenere le parti che meritano il sostegno e di lasciare perdere i rami secchi. Nelle grandi istituzioni, nelle scuole e nelle aree di organizzazione culturali del Comune non è stato fatto nulla. Per esempio non esiste una Fondazione dei Musei civici, non esiste un direttore artistico del polo espositivo di Palazzo Reale, una realtà come il Pac, il Padiglione di Arte contemporanea potrebbe essere un luogo straordinario della avanguardia milanese e questo non accade. Ci sono una serie di grandi potenzialità che ha la città, ma che non vengono usate, sfruttate, messe a sistema. Milano, culturalmente, è lasciata a se stessa: basta pensare alle università».

Le università sono un'eccellenza cittadina...

«Abbiamo 9 università, non c'è una città in Europa che ne abbia tante, eppure ognuna va per conto proprio. Bisognerebbe, invece, capire cosa chiedono i rettori per potenziare il sistema didattico, per la protezione degli studenti e dei docenti che vengono da fuori e che hanno bisogno di determinate strutture».

Lo slogan del candidato sindaco del centrodestra Luca Bernardo è «Milano ha bisogno di cura». Milano è malata?

«Cura vuol dire tante cose: non solo il rimedio per una malattia, ma anche un'attenzione alle sue realtà. Cura è una bella parola, non deve solo evocare la malattia, ma tutto quello che riguarda l'amore verso, l'accudire».

La giunta Sala si è presa cura delle periferie, come aveva annunciato?

«La periferie sono la scommessa persa della sinistra. Occuparsene non significa andare lì a parlare con le persone, sentire i problemi, ma cercare di far stare meglio i cittadini che ci vivono. Allora quali sono le condizioni migliori? Quelle di rispettare la gente, cioè dare dei servizi, da quelli necessari a quelli in cui cultura significa aggregazione e socializzazione. L'idea di cultura milanese parte da questa visione: socializzazione, realizzare comunanza, ma non essere qualcosa di semplicemente elitario. Ci deve essere questo perché Milano ha delle eccellenze straordinarie dal punto di vista delle sue istituzioni, ma dall'altra parte la cultura nelle periferie deve essere ancora di più una cultura di sostenibilità dal punto di vista dell'aggregazione. Il che significa sostegno alle biblioteche rionali, a quelle piccole librerie che magari sono state messe in piedi dai ragazzi. Cura delle periferie significa vedere come vivono i giovani e gli anziani perché Milano è una città loro ostile».

In che senso?

«È ostile perché c'è disinteresse, non c'è attenzione alle organizzazioni giovanili, alle possibilità di potenziare il loro sviluppo. Milano non è una città università come Bologna e Padova, ma allo stesso tempo non si può pensare che queste siano figure isolate, che non costruiscono valore nella città».

Che consiglio darebbe al candidato sindaco del centrodestra Luca Bernardo?

«Non mi sento di dare consigli a Bernardo, ma spero che abbia la possibilità di ascoltare. Lui mi piace perché è un uomo che sa ascoltare e quando uno sa ascoltare ha anche l'umiltà di comprendere che non ha nessuna onnipotenza, ma che alcune cose fondamentali si possono fare.

Tra queste quelle della cultura e dell'istruzione: c'è molto da fare e so che Bernardo ha molta attenzione verso questi temi».

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