Cronaca locale

«Dalle casse del San Raffaele sono spariti 43,9 milioni»

«Dalle casse del San Raffaele sono spariti 43,9 milioni»

Pierangelo Daccò non poteva non essere consapevole che le somme a lui versate dai vertici del San Raffaele avrebbero mandato sul lastrico il colosso di via Olgettina. Così scrive il giudice il gup Maria Cristina Mannocci nelle motivazioni della sentenza con cui ha condannato il faccendiere a 10 anni di reclusione per il crac (poi evitato grazie all'investimento del gruppo San Donato) dell'ospedale fondato da don Luigi Verzè. In totale, scrive il giudice, sono stati «illecitamente drenati 43,9 milioni di euro», nonstante fosse ormai chiaro che il San Raffaele er sull'orlo del baratro, e che avrebbe trascinato con sè anche la lunga schiera di creditori.
È un duro ritratto, quello fatto dal giudice Mannocci. Daccò era a conoscenza della «reale situazione patrimoniale del San Raffaele», e dunque era consapevole «di operare una diminuzione della consistenza patrimoniale» dell'ospedale «idonea a danneggiare le aspettative dei creditori e a frustrare gli adempimenti preposti appunto alla tutela dei creditori». «Il San Raffaele - insiste il gup - pur essendo una realtà di eccellenza fondava la propria sopravvivenza sui corrispettivi della propria attività (che non avrebbero permesso da soli di sopravvivere) e su contributi pubblici in genere non determinabili a priori anno per anno: anzi la scarsità di contributi pubblici, soprattutto regionali, è stata oggetto spesso di lagnanze anche pubbliche del dominus della Fondazione, don Luigi Verzè». «A fronte di ciò - prosegue il giudice, - il regime delle spese (anche a prescindere dalle operazioni fraudolente pacificamente ammesse da Daccò) era ingente: si andava da continue opere di ristrutturazione e ampliamento talvolta di carattere quasi faraonico a iniziative in Italia e all'estero la cui redditività era nulla, passando per acquisizione di strutture e strumenti che imponevano un impegno altrettanto ingente». La conoscenza di questa situazione era «piuttosto generalizzata» e appare quindi «arduo» secondo il gup «ritenere che, vista la frequenza e la natura delle sue visite al San Raffaele, il solo Pierangelo Daccò non si fosse accorto di una situazione di crisi che era perfettamente nota a tutti all'interno della struttura ospedaliera».

Secondo il giudice «dagli atti emergono plurime e univoche circostanze che permettono di affermare la sussistenza della sua piena conoscenza e consapevolezza di una situazione “sul filo del rasoio”, e quindi a rischio, in cui il San Raffaele si trovava già al momento in cui sono avvenute le condotte contestate».

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