Cronaca locale

"Dalle pietre preziose al vino. E Milano mi ha reso italiano"

Il vicepresidente dei sommelier racconta la "sua" città. "Via dall'Egitto per amore, piansi per la cittadinanza"

"Dalle pietre preziose al vino. E Milano mi ha reso italiano"

Hosam Eldin Abou Eleyoun è vicepresidente di Ais Lombardia, l'Associazione italiana sommelier e delegato di Milano dove anima corsi ed eventi legati al vino che coinvolgono migliaia di appassionati

Dall'Egitto a Milano, cosa l'ha portata qui?

«L'amore. Ho conosciuto mia moglie Marinella in Egitto, lei è di Ascoli Piceno. Dovevamo vivere nel mio Paese, poi lei ha vinto il concorso per controllore del traffico aereo ed è stata assegnata a Milano dove ci siamo trasferiti nel 1994. Allora commerciavo in pietre semi-preziose, sono laureato in chimica, oggi mi dedico a tempo pieno all'Associazione italiana sommelier».

Poco tempo per la famiglia.

«Io e mia moglie viaggiamo molto, abbiamo scelto di non avere figli e deciso di aiutare diversi bambini nel mondo a frequentare la scuola».

Lei è cittadino italiano.

«Dal 1997 e ne sono felice, quando ho giurato fedeltà alla patria ero in lacrime, sentivo il peso e l'onore della prerogativa che avrei avuto per il resto della vita: essere italiano».

E l'Egitto?

«Mai cancellato, amo la mia terra dove sono nato e cresciuto. Non dimenticherò mai i profumi e il sorriso della gente».

In Italia si è mai sentito rifiutato?

«Sì, ma lo inserisco nel pacchetto dell'ignoranza. Preferisco notare che in Italia c'è chi si ferma ad aiutare qualcuno per strada, siamo un grande Paese».

Bello questo «siamo». Milano è la nuova capitale del food?

«Con Expo, Milano ha messo le basi per esserlo, si percepiva il cambiamento e oggi la città ha le carte in regola. Però l'ospitalità è ancora troppo cara e si deve aumentare la vivibilità: mi riferisco agli orari dei mezzi pubblici, alla dinamicità del servizio. Nelle capitali europee anche le periferie sono facilmente raggiungibili a ogni ora»

Ais Milano è stata insignita dell'Ambrogino d'oro.

«Quando credi in un progetto e lavori con una squadra valida, come quella di Ais Milano, senti di poter dare un contributo alla città e al nostro Paese. Nasce tutto dai valori che Milano trasmette, quel giorno l'emozione era enorme. Una rivincita per tutti coloro che parlano di qualità nel settore del vino. Ringrazio Lorenzo Detti, presidente Ais Lombardia, che mi ha sempre dato fiducia».

Un riscatto particolare per un egiziano?

«Milano è una delle città più vere d'Italia, con persone che lavorano con onestà e dignità. Devi dimostrare di valere, ma se ci riesci Milano risponde con un applauso. È la città della Scala, se dai il massimo ti premia».

I suoi indirizzi milanesi?

«Molti luoghi, oggi in ogni quartiere c'è un'eccellenza, come Al Nuovo Macello vicino a casa mia, unisce tradizione e innovazione».

Cucina innovativa o tradizionale?

«Amo quella sperimentale che spinge a nuovi confini, valorizza la materia prima e la fantasia del cuoco. Quando voglio premiarmi, scelgo il giapponese Yio, tra gli italiani Andrea Berton, Claudio Sadler, Pietro Leemann, chef che soddisfano desideri e palati».

La cucina negli hotel è in crescita?

«Sta dando soddisfazione, purtroppo gli Italiani pensano ancora che negli alberghi si mangi male. Si sbagliano. Penso a PanEVO, ristorante del Westin Palace, lo chef Tombolato presenta grande precisione e meravigliose cotture».

Il sapore della sua infanzia?

«Sono tanti, il succo di canna da zucchero, le pannocchie grigliate sul lungo mare di Alessandria, il pesce. Da bambino mangiavo poco, mia mamma chiese consiglio al medico che le disse di darmi un goccio di vino in un cucchiaio. Funzionò e ricominciai a mangiare normalmente. Fu lei ha introdurmi al vino».

Il profumo che ama in cucina?

«Le spezie, mi ricordano casa, anche se difficili da gestire in cucina, puoi farci meraviglie o disastri».

Ai fornelli o a tavola?

«Ai fornelli tutta la vita, mi piace tanto cucinare, soprattutto primi e secondi di mare e Marinella è sempre felice».

Cucinare è anche un atto di amore?

«Certo la tavola è condivisione di idee, amore e impegno per soddisfare la mente e il cuore di chi la condivide con te».

Cosa non smetterebbe mai di mangiare?

«Patatine fritte, a Bruxelles, capitale della patatina fritta. Le mie preferite sono quelle dei chioschi in piazza, un punto di riferimento. Con una birra fresca, abbinamento perfetto».

Il pranzo o la cena che non dimenticherà mai?

Un piccolo ristorante a Berlino, mia moglie compiva gli anni, un momento nostro con il sommelier a raccontare i diversi abbinamenti. Perfetto. E poi i panini condivisi con la mia squadra Ais, un sapore perfetto se accompagnato da abbracci per un bel lavoro fatto insieme».

Un calice di vino a fine giornata?

«Quando torno a casa un calice di vino aiuta a riflettere: errori, cose buone, come migliorare, è la carezza a fine giornata».

Sua moglie ama il vino?

«Nella nostra vita abbiamo condiviso tanti bicchieri, nei momenti felici e in quelli difficili, pensando a come risolverli, lei sempre al mio fianco a confortarmi, con Marinella condivido vita e vino».

Il vino cosa le suggerisce?

«La mente e il cuore, dimostra la civiltà dell'uomo. Esalta il cibo, ti dà belle sensazioni. È il papà di Marinella ad avermi insegnato i primi passi, un marchigiano fuori dagli stereotipi, legato alla cultura. Un brodetto di pesce con un vino rosso leggero è il racconto di un territorio fatto di tradizione e storia. È così in tutta Italia, in ogni comune anche a distanza di cinquecento metri c'è una specialità da scoprire».

Il suo luogo del cuore?

«Offida, in provincia di Ascoli Piceno dove vive la famiglia di Marinella: un luogo pieno di gioia, cultura, vino, feste, il calore della gente e la gioia di stare insieme. Amo la città, ma la pace di quei luoghi ti tempra. A Natale andiamo sempre lì».

Chi porta il vino?

«Ghe pensi mi».

La cena romantica è un'arma vincente?

«Sicuramente sì, non servono tante parole, basta guardare una persona negli occhi e riesci a mandare e ricevere tanti messaggi».

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